Il tempo che faceva di Aldo Boraschi – [Recensione]

Buongiorno a tutti voi, cari amici lettori, una delle pochissime fiere del libro di questo 2020 così anomalo sta per iniziare, si tratta di Lucca città di Carta, organizzata dagli amici dell’Ordinario e di Nati per scrivere il 28/29 e 30 agosto nella fantastica location del Real Collegio a Lucca. 

Perchè cominciare questa recensione con questo evento? Perchè i due avvenimenti sono collegati.

Venerdi 28 agosto, proprio a Lucca Città di Carta, sarò io a dialogare con Aldo Boraschi su questa sua nuova fatica letteraria dal titolo

Il tempo che faceva

AltreVoci Edizioni

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Di cosa parla il romanzo?

Gelinda Rustichetti ha vissuto tutta la sua vita a Senzunnome, paese dalla geografia incerta e dalla
storia compromessa da una frana che ha distrutto l’ufficio anagrafe,
cancellandone il passato. Beata Nocentini è invece una giovane ragazza che
porta addosso fin da piccola la fama di “scema del villaggio”. Due anime
solitarie che non possono far altro che incontrarsi e incastrarsi alla
perfezione. I racconti di Gelinda, riportati per tanti anni nei suoi quaderni e
poi tramandati a Beata, diventano la memoria degli avvenimenti e dei personaggi
che hanno segnato il borgo. Un continuo susseguirsi di uomini e donne, di
storie reali, sincere, ricche, che Gelinda osserva dal suo Bar Gelateria


 

Aldo Boraschi ci regala un romanzo con una sensibilità quasi femminile, un romanzo di ascolto, di condivisione, di amicizia, di elogio alla diversità e alla differenza, intesa con valore aggiunto nei rapporti umani: come ci insegna la scienza le differenze arricchiscono.

Se è
vero che alle donne è riconosciuta una sensibilità particolare e più forte, l’autore è riuscito a imprimere alle sue parole scritte una sensibilità tipicamente femminile, fatta di intuito, tenacia e visionarietà.

«Senzunnome» è il paese nel quale è ambientata questa storia, un luogo che potrebbe
essere ovunque in questa nostra bellissima Italia: potrebbe essere il paese dove
viviamo, o quel borgo arroccato sulla collina che vediamo tutte
le volte che andiamo a lavorare, o ancora il piccolo paese nel quale
abbiamo trascorso le vacanze da bambini.

«Senzunnome» è di diritto uno dei protagonisti di questo romanzo, con le sue strade silenziose, la piazza, il bar gelateria della nostra protagonista. Silenzioso e assonnato osserva lo scorrere della vita, i momenti belli e quelli tristi, c’è sempre e diventa parte integrante di un copione, non solo scenario ma attore tra gli attori.

Attori che sono struggenti e particolari, personaggi
soprattutto femminili, delineati in modo attento, nelle loro manie, le loro paure e le aspirazioni.

Un romanzo triste, forse per certi versi potrebbe apparire pessimista, soprattutto per alcune frasi messe in bocca a Gelinda:

L’amore è come il gelato: «una meraviglia imperfetta», perchè non dura, si scioglie e in un brevissimo tempo non rimane altro che un ricordo.

ma che in realtà non fa altro che sottolineare la consapevolezza che la vita non può essere
sempre gioia, anzi molto spesso sono proprio gli avvenimenti tristi quelli che
ci ricordiamo di più e che probabilmente ci segnano e ci cambiano, ma non per
questo dobbiamo smettere di avere fiducia degli altri o di credere nei sogni per un futuro migliore.

E’ proprio grazie a questa consapevolezza che Gelinda individua in Beata, che da tutti è considerata la scema del villaggio, l’erede ideale del suo patrimonio di conoscenza. Vede il
futuro della ragazza, il suo futuro possibile e non si arrende, non si ferma al sentito dire raccontato dagli altri, la fa diventare la depositaria del suo sapere. Le insegna come fare il gelato e  le lascerà in eredità la
sua gelateria, ma ancora di più le racconta come sia possibile  avere fiducia in sé stessi e Beata raccoglierà i frutti di quei pomeriggi trascorsi nella casa di riposo insieme al fratello, ad ascoltare l’anziana donna. Beata diventerà quello che nessuno avrebbe mai immaginato per lei.

Questo di Boraschi è un romanzo che mette al centro il ricordo, il non
dimenticare chi è vissuto  prima di noi. Le persone non muoiono mai veramente
finché noi le manteniamo vive nei nostri ricordi,  questo è il succo di quei 43
quadernoni che Gelinda lascia a Beata, quadernoni scritti a mano con tutti gli
avvenimenti e gli accadimenti di questo paese senza un nome.

Il testimone ora è passato alla ragazza che proseguirà nella scrittura.

Che cosa lega tutte le vicende di questi
protagonisti?

E’ il tempo, il tempo che faceva:  tempo inteso come lo scorrere dei giorni e delle vite e delle storie delle persone, ma soprattutto inteso come tempo atmosferico. E’ sagace l’idea che ha avuto Boraschi  e se ci pensate è vera:  spesso non ci ricordiamo la data di un avvenimento ma
ci ricordiamo che tempo faceva in quel preciso giorno, uno stratagemma di apertura dei capitoli veramente curioso e che  ha dato anche il
titolo al libro.

Intimo, struggente e dannatamente femminile, come non ci si aspetta dalla penna di uomo. Complimenti all’autore per aver saputo immergersi e immergerci in una storia di provincia fatta di uomini e donne, sentimenti, passioni che scorrono in uno scenario senza tempo e senza spazio.

Buona lettura, vi aspetto a Lucca Città di Carta

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