Lettori Adorati,
oggi vi proponiamo il romanzo ARMA INFERO scritto da Fabio Carta, il primo romanzo di una serie dedicato al genere fantascientifico e pubblicato con Inspired Digital Publishing.
Buona lettura!
La Recensione a cura di Francesco Bignardelli
Arma Infero è il primo libro di una saga di fantascienza ambientato in un mondo diverso dal nostro pianeta; il fascino di vedere e leggere di un mondo tutto da scoprire, futuristico o comunque con tematiche fantascientifiche, mi ha attirato e ho voluto leggere quindi questa nuova storia.
Addentrandoci sempre di più nella lettura, conoscendo pagina dopo pagina l’ambientazione del mondo che ci circonda, c’è una cosa che soprattutto mi ha colpito: come già detto si tratta di un libro di fantascienza e quindi abbiamo una descrizione dell’ambiente attorno a noi che segue questo stampo; abbiamo armi, mezzi tecnologici, città e tanto altro che ci riportano ad un mondo “alieno” al nostro; assieme però a questa descrizione fantascientifica, troviamo anche tutta una serie di cose che invece richiamerebbero un mondo del ciclo arturiano.
Parliamo quindi di espressioni e termini usati dai personaggi della storia molto medievaleggianti: si parla di codici della cavalleria e soprattutto vi è la presenza di un ordine di cavalieri, che rappresentano un antico passato, che sono tra le persone più nobili e onorevoli di questo mondo, etc. etc.
Anche il modo di gestire la politica, nei metodi usati e nel linguaggio, mi ha ricordato più un ciclo arturiano che altro.
Tutto questo, comunque, non toglie “respiro” all’ambient fantascientifico in cui gira tutta la narrazione (tanto che i cavalieri, combattono in groppa a una creatura chiamata Zodion che, da come viene descritta, è palesemente una creatura con innesti meccanici e tecnologici avanzati).
Se all’inizio della storia tutto ciò lascia disorientati, dopo un po’ diventa molto godibile la lettura.
Altra cosa che ho trovato piacevole sono stati i personaggi presenti nella storia: sono infatti caratterizzati molto bene, hanno una loro profondità, un loro modo di agire poggiato su una morale o un senso dell’onore o del profitto.
Hanno una loro psiche e anche quelli meno importanti, e che si vedono poco per tutta la storia, lasciando comunque una traccia del loro passaggio.
Inoltre, per tutta la storia, i protagonisti (i cui nomi sono Karan e Lakon) si evolvono, mutano cambiano a seconda di ciò che accade loro. Non sono bidimensionali ma hanno sfaccettature diverse o hanno una maschera che nasconde il loro vero io, fino a raggiungere i momenti critici della storia.
L’autore, in questo, ha fatto un ottimo lavoro di realizzazione dei caratteri delle sue creazioni e questo rende ancora più interessante una lettura di questo tipo.
Il fatto che i personaggi siano immersi in questa atmosfera da ciclo cavalleresco rende, a volte, divertente leggere degli scambi di battute tra i personaggi, dato che essi sono collocati in un mondo tecnologico e futuristico: appare simpatico trovarsi poi immersi in scambi di idee, o comunque discorsi in generale, così tanto influenzati da un modo di parlare così particolarmente distaccato da quello che è un mondo di fantascienza.
Una cosa che non ho gradito molto è il “gancio” con cui si dà il via a tutto il libro: all’inizio vi è un antefatto, dove una persona inizia a descrivere quella che potrebbe essere una lunga preghiera rivolta ad una divinità o qualcosa del genere.
Questi giovani ferventi protagonisti si soffermano sulla presenza di una terza persona molto anziana che, secondo loro, non dovrebbe essere lì; ma questo vecchio invece si presenta e pone loro il problema di conoscere la figura che loro stanno idolatrando.
Fermi quindi ad ascoltare questa persona, il vecchio inizia a narrare la storia.
Questo sarebbe il quid: il motivo per cui viene narrata la storia del vecchio Karan che parla di Lakon, quello che alla fine dall’antefatto viene chiamato “il Martire Tiranno”. Ed è qui, per me, il problema.
Per far capire cosa c’è che non va vi farò un esempio semplice.
Prendete la serie tv How I Met Your Mother: dalla prima puntata vi è un padre che inizia a raccontare ai due figli seduti davanti a sé, la storia di come lui abbia conosciuto la loro madre; da qui seguono nove stagioni intere di racconto.
Ora: io capisco che sia nella serie tv sia nel libro ci debba essere la sospensione della realtà, ma io sinceramente non riesco a immaginarmi centinaia e centinaia di ferventi individui fermi in un mondo che, da come è descritto, è prossimo alla fine, ad ascoltare la storia di un vecchio che dice di conoscere il Martire Tiranno; contando che, dopo l’antefatto, ci sono centinaia di pagine di storia che viene narrata, e che all’interno dei capitoli non vi sia mai un momento di intervallo nel quale si ritorna nella “realtà” con il vecchio che sta narrando.
Questo è un gancio che mi lascia molti dubbi sulla sua funzionalità.
Altro problema del libro è che in varie parti della storia la narrazione diventa prolissa, e spesso l’autore si sofferma a spiegare molte cose, soprattutto quando si parla di tecnologia e macchine futuristiche.
Nella fantascienza non ci si dovrebbe soffermare troppo a spiegare perché delle cose futuristiche funzionano in un modo o in un altro…perché appunto è fantascienza, essa deve rimanere di cornice alla storia lasciando il mistero anche su come nel futuro funzionino certe cose: invece qui più volte il narratore della storia si ferma a spiegare intere parti della tecnologia, soprattutto gli Zodion che vengono cavalcati dai cavalieri, visto che ci sono molte parti tecnologiche legate a tali creature. D’accordo Karan, il vecchio, quando conosce il Martire Tiranno, che è un tecnico e lavora nelle officine per costruire e riparare gli Zodion, ma ci si sofferma troppo a spiegare ogni cosa, e non solo di questo ma anche su altro.
Di conseguenza, questo continuo tentativo di voler spiegare le cose diventa dannoso poiché il narratore inizia a divagare (e lo dice persino agli stessi spettatori che lo ascoltano, che divaga) aggiungendo elementi che, per il fine della storia non hanno niente a che fare e se riassunte maggiormente renderebbero la storia più fluida e concisa.
Fabio Carta ha fatto un grande lavoro: non a caso, come si legge nella sua biografia, è un appassionato di fantascienza e di racconti di Cavalieri del Ciclo Bretone; in più è laureato in scienze politiche in ramo storico. Ha unito tutte le sue passioni in una sola storia facendo un buon lavoro: su certe cose c’è da migliorare, ma questo primo libro funziona già molto bene.

di Fabio Carta
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Su Muareb, un remoto pianeta anticamente colonizzato dall’uomo, langue una civiltà che piange sulle ceneri e le macerie di un devastante conflitto. Tra le rovine v’è Karan, vecchio e malato, che narra in prima persona della sua gioventù, della sua amicizia con colui che fu condottiero, martire e spietato boia in quella guerra apocalittica. Costui è Lakon. Emerso misteriosamente da un passato mitico e distorto, piomba dal cielo, alieno ed estraneo, sulle terre della Falange, il brutale popolo che lo accoglie e che lo forgia prima come schiavo, poi servo e tecnico di guerra, ossia “Mastro di Forgia”, ed infine guerriero, cavaliere di zodion, gli arcani veicoli viventi delle milizie coloniali. Ed è subito guerra, giacché l’ascesa di Lakon è il segno premonitore di quel grande conflitto i cui eventi lui è destinato a cavalcare, verso l’inevitabile distruzione che su tutto incombe.