The Other Side of Disney #3 – Aurora

Lettori cari,
ben trovati ad un nuovo appuntamento con la rubrica dedicata al favoloso mondo DISNEY: oggi il nostro esperto P.A. Ferretti è pronto ad accompagnarci in un viaggio alla scoperta di AURORA.

Buona lettura!

Articolo a cura di P.A. Ferretti

Con la principessa di oggi si conclude una sorta di ufficiosa “trilogia” nell’ambito della filmografia disneyana: non solo si tratta della terza principessa nel canone, ma anche dell’ultima a venir concepita nel periodo del “vecchio” cinema Disney, dagli animatori della vecchia guardia, prima di un letargo di trent’anni e la successiva resurrezione del genere fiabesco con “La Sirenetta” e una nuova squadra di animatori, registi e sceneggiatori ad occuparsi di questo genere di personaggi.

Aurora

Per certi versi, Aurora si può considerare una sorta di nota dolente di questa prima serie di principesse vecchia scuola, per il semplice motivo che, in apparenza, non esistono argomenti efficaci per controbattere alle accuse di noia, passività e mancanza di spessore che le vengono addotte.

L’ostacolo maggiore di Aurora è lo scarsissimo screentime che le viene riservato: infatti, la sua prima apparizione da adulta è a 20 minuti dall’inizio del film, e dopo un solo quarto d’ora di presenza viene messa a dormire dall’incantesimo di Malefica fino alla fine.

Non è esattamente molto tempo per sviluppare bene un personaggio, ed è forse uno dei motivi più di peso per la scarsa considerazione che il pubblico generale le riserva.

Il secondo ostacolo, come anticipato in apertura dell’articolo, è che Aurora è già la terza principessa nella filmografia Disney e come tale risente di una certa ripetitività di fondo a livello di carattere e tematiche: la frustrazione con la sua vita attuale, l’aspirazione a qualcosa di meglio, l’abilità di comunicare senza difficoltà con gli animali e così via.

Non a caso, lo stesso Walt Disney era consapevole di questa ripetitività, motivo per cui la stesura della storia ha richiesto più tempo del previsto e si è scelto di conseguenza di puntare gran parte del fattore novità sul mero aspetto estetico ,quello sì sbalorditivo, il che spiega il differente impianto visivo, più angolare e stilizzato, ispirato al Rinascimento e al tardo gotico, nonché alle immagini degli arazzi d’epoca, frutto dell’opera del validissimo Eyvind Earle.

Detto ciò, a ben vedere ci sono alcune valide considerazioni da fare, le quali possono scaturire da una visione del film attenta ai particolari. Badate che quanto segue deriva da considerazioni ed interpretazioni di carattere personale, e come tali possono venir discusse, accettate o rifiutate a discrezione di voi lettori.

Quello che balza più all’occhio del carattere di Aurora è la sua malizia. Nell’aspetto e nell’atteggiamento in generale, essa conserva solo in parte il candore e l’innocenza delle precedenti principesse, e nel modo in cui si relaziona con i personaggi che le stanno intorno rivela una parte più “furbetta” e indipendente di sé. Lo si nota in brevi momenti, quasi buttati via, ma su cui ci si concentra giusto il necessario per sottolinearli: quando le tre fate mandano via Aurora (ancora nota come Rosaspina) per tenerla occupata mentre preparano il vestito e la torta in occasione del suo compleanno, inventano la scusa delle bacche; ma dall’occhiata di straforo e dal sorriso storto che Aurora le lancia, è chiaro che non la beve.

Sa benissimo che le tre “zie” hanno in mente qualcosa (già prima le aveva apostrofate chiedendo “Cosa state tramando voi tre?”), ma si fida abbastanza di loro da stare al gioco. Da come la scena è costruita si può anche presumere che fatti simili siano già accaduti in precedenza e che dunque Aurora è abituata al comportamento eccentrico delle fate.

Un altro momento che enfatizza questa malizia è la confidenza che fa in seguito agli animali del bosco: come anche le altre principesse, anche Aurora è insoddisfatta della sua vita, che ha trascorso reclusa per sedici anni in una foresta senza contatti con nessuno tranne che con le sue “zie”, e con il castello e il paese perennemente in vista dai confini del bosco, così vicini eppure così lontani.
Lei stessa afferma che le fate “non vogliono che conosca nessuno”, sottolineando il grado di isolamento cui è stata sottoposta in un chiaro segno di iperprotettività da parte delle sue “zie”; una pausa, poi ridacchia e afferma con una punta d’orgoglio: “Ma sapete una cosa? Le ho ingannate! Ho conosciuto qualcuno!”.

Si tratta ovviamente solo di un incontro immaginario, che comunque ci dà un altro elemento del suo carattere, anche quello molto comprensibile: ossia la tendenza a usare l’immaginazione per fuggire alla “miseria” quotidiana, un elemento di per sé già presente nelle altre principesse, ma qui enfatizzato ancora di più; ma anche l’essere ben disposta a infrangere le regole che le vengono imposte, qualora non ne fosse soddisfatta. Un atteggiamento così apertamente “ribelle” all’autorità genitoriale, benché impallidisca al confronto con ciò che se ne farà con le principesse seguenti, costituisce comunque un passo avanti rispetto a ciò che è venuto prima.

Altri piccoli tocchi su cui vorrei soffermarmi riguardano piccole sfumature che contribuiscono ad aggiungere un po’ di umanità e tridimensionalità al personaggio, su tutte durante il primo incontro con il Principe Filippo: come per Biancaneve, la prima reazione di Aurora nel trovarsi davanti uno sconosciuto che “irrompe” nella sua canzone, ovviamente è di spavento e incertezza.

Questo porta alla tanto discussa scena dell’innamoramento dei due, sulle note della canzone “So chi sei”, basata sulla melodia del walzer del balletto originale.  Qui mi permetto di aprire una parentesi su un altro argomento che oggi come oggi viene spesso criticato, ossia quello dell’amore a prima vista.

La principale critica a questo concetto è la mancanza di corrispondenza con l’amore nella vita reale, al che vorrei far notare che questa è una fiaba: come ho già ripetuto più volte, in una fiaba tutto è allegoria, e il colpo di fulmine fra i due lo si può anche interpretare come una compressione temporale di una fase d’innamoramento ben più lunga.

Volendo anche mettere da parte una rilettura di questo tipo, l’amore a prima vista rimane in ogni caso una meravigliosa versione di romanticismo, alla quale ci piace credere per via della speranza che ci dà di incontrare la persona giusta senza sprecare il nostro tempo a cercare in lungo e in largo. Ma è anche l’ideale della coppia perfetta, il cui amore e attaccamento reciproco è tale da superare e annullare qualunque differenza, pregiudizio od ostacolo in generale.

Posto che, per raro che possa essere, un simile amore può esistere e, per quanto ci atteggiamo a cinici, un colpo di fulmine può avvenire nella vita reale, la sua presenza in una fiaba rappresenta la valorizzazione e celebrazione di questo ideale, la fiducia e speranza nella forma più pura di amore immaginabile, già di per sé un utile messaggio da veicolare.

Senza contare il fatto che, a dispetto di ciò che possono pensarne i detrattori, la scena d’amore fra principe e principessa in questo caso tocca vette liriche e di romanticismo vecchia scuola come mai si erano viste nel cinema Disney, e come di rado se ne vedranno in seguito. Mancherà di realismo, ma è proprio questo il suo punto di forza: è semplice, allegorica, potente. Un trionfo su tutta la linea.

Tornando ad Aurora, un altro punto interessante è la sua reazione di fronte alla scoperta di essere una principessa: molte probabilmente sarebbero felici all’idea, ma in quella specifica situazione, la cosa cambia. Aurora è la prima principessa Disney a non rifiutare una vita principesca quando questa le viene offerta: dal suo punto di vista, essere una principessa significa non rivedere mai più il giovane di cui si è innamorata e vivere il resto della sua vita tra fredde mura di pietra con genitori che neanche conosce. Dunque, reagisce nell’unico modo logico: scappa nella sua stanza piangendo.

Si potrebbe dire che il finale del film tagli questo arco narrativo concentrandosi invece sul sciogliere tutti i nodi per benino nel minor tempo possibile, ma anche lì, a pensarci bene, ha senso (entro certi limiti): una volta che Aurora scopre che il giovane di cui è innamorata è lo stesso Filippo, tutto è sistemato.

Aurora può “sopportare” di diventare una principessa, ma la cosa che più le importa è stare con l’uomo che ama, e che sia un principe o meno non la potrebbe interessare di meno, visto che lo ha amato fin dall’inizio, quando ancora credeva fosse un normalissimo giovane.

Un ultimo appunto da considerare. Vista la bizzarra struttura narrativa e lo scarso spazio offerto ad Aurora e a Filippo, viene naturale porsi una domanda: ma Aurora è davvero la protagonista del film?

E più ci si pensa, più la risposta si fa chiara: no. Non è lei la protagonista. A dispetto di tutto, Aurora viene sempre trattata più come un mero motore narrativo, l’elemento base che fa muovere i meccanismi della trama; in nessun momento Aurora si trova nelle condizioni di scegliere da sola come muoversi e quale strada prendere. Di contro, le tre fate Flora, Fauna e Serenella agiscono fin dal primo momento: loro ordiscono il piano per nascondere Aurora, loro si rendono conto del proprio errore e vanno a salvare Filippo. L’intero film si riduce a una partita a scacchi tra le fate e Malefica per contendersi il destino della principessa. E visto in quest’ottica, il film acquista un valore aggiunto, a mio parere.

Ciò non giustifica i difetti nel personaggio di Aurora, ma per certi versi li mitiga: prese come protagoniste infatti, le tre fate sono un ottimo modello, attive, un po’ imbranate forse, ma intelligenti e benintenzionate.

In conclusione, con Aurora abbiamo una principessa Disney molto “riciclata”, la cui caratterizzazione comunque non è priva di guizzi e aspetti in stato embrionale che, a causa del poco tempo a disposizione, non vengono sviluppati come avrebbero dovuto. Se anche la si considerasse l’anello debole di questa prima serie di principesse, da qui a definirla un personaggio monotono o privo di interesse o sviluppo ne passa di acqua sotto i ponti; ma è anche vero che non è lei il principale motivo d’interesse del film. Si trova da qualche parte nel mezzo, ma non per questo bisogna trattarla con disprezzo: per quel poco che compare, lascia comunque un’impressione.

E comunque è la protagonista della miglior scena d’amore di qualsiasi film Disney.

CURIOSITA’

Il design di Aurora fu fortemente influenzato dal lavoro di due artisti: il primo fu Eyvind Earle, il direttore artistico del film, che creò un look spigoloso e altamente stilizzato ispirato agli arazzi del 13 e 14 secolo, allo stile rinascimentale e gotico, saturo di colori e talmente ricco di dettagli che gli animatori dovettero lottare per fare in modo che i personaggi risaltassero contro gli sfondi e le figure secondarie.

Il secondo fu l’animatore Marc Davis, uno dei Nine Old Men, il gruppo di fidati collaboratori di Walt Disney dagli anni ’30 ai primi anni ’80: insieme alla moglie Alice, che creò i costumi, Marc Davis compì un lavoro unico nella storia dell’animazione disneyana, occupandosi di Aurora e la cattiva Malefica allo stesso tempo, animando entrambi per la maggior parte del film quasi senza l’aiuto di collaboratori.


Se hai perso le puntate precedenti:

  • qui l’articolo dedicato a CENERENTOLA
  • qui l’articolo dedicato a BIANCANEVE

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