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Oggi è domenica e la trascorriamo in compagnia di chi accompagnerà nel mondo Disney alla scoperta di un nuovo protagonista.
Bando le ciance e buona lettura!
Articolo a cura di P.A. Ferretti
Procedendo nella nostra analisi delle varie principesse Disney, arriviamo infine al primo membro di questa categoria ad essere per lo più ben vista dal pubblico generale e un balzo in avanti nella presentazione delle principesse in generale, ancora oggi considerata un caposaldo di progressismo e indipendenza femminile.
Dal primo lungometraggio animato nominato all’Oscar per il Miglior Film, è il momento di parlare della Bella.
Belle
Una delle più acclamate principesse Disney, il fatto davvero paradossale è che, a conti fatti, Belle non si distingue e non presenta chissà quali differenze con la precedente Ariel: in quanto personaggio, viene fornita di una personalità completa a 360 gradi e sì, è di certo dotata di un inedito grado di indipendenza e proattività, ma a ben vedere nessuna di queste caratteristiche è di per sé una novità.
Come già accennato un paio di articoli fa, in sé per sé le principesse Disney sono personaggi all’insegna della ripetitività:
tutte loro condividono dei basilari tratti caratteriali, tra i quali la frustrazione per il loro attuale stile di vita, il desiderio di qualcosa di più, una vivida immaginazione e, con queste nuove principesse del Rinascimento, una più accentuata indipendenza e propensione ad agire in prima persona, a mettersi in gioco per fare in modo che le loro aspirazioni si realizzino.
Dopo le novità apportate da Ariel, Belle segue in toto questa nuova impostazione senza aggiungere nulla di particolare; allora come mai proprio lei viene additata come uno dei migliori esempi del topos della principessa forte e indipendente?
Beh, forse il punto è che, per quanto essa segua una formula già introdotta in precedenza, per certi aspetti con lei questa formula viene “perfezionata”.
Belle non è un’adolescente, e dunque non è soggetta alle bizze e ai capricci tipici di quell’età; tende ad agire in maniera più ragionata, o quanto meno più intelligente e meno istintiva; e dunque mostra anche una maggiore maturità rispetto al suo immediato predecessore.
Ha un carattere combattivo, è pronta a difendere la sua posizione a spada tratta anche di fronte a una bestia grande e grossa che le ruggisce contro, ma senza mai perdere di vista il realismo del personaggio: è ovvio infatti che una come lei non può opporsi fisicamente contro un branco di lupi affamati o una folla inferocita guidata da Gaston. E’ intelligente, è un’intellettuale (adora leggere) ed ha una mentalità aperta che anticipa l’illuminismo di un paio di decenni, come dimostra il suo amore per libri privi di figure, il che le permette di “colmare il vuoto” con l’immaginazione.
Questo elemento in particolare viene fin da subito posto in primo piano, creando un evidente e, diciamo pure, didascalico contrasto con le vedute ristrette di Gaston e del resto del villaggio in cui vive.
E soprattutto, per una volta è Belle a salvare il principe e non viceversa: lei è il fulcro intorno al quale ruota l’intero meccanismo della maledizione che grava sul castello della Bestia e i suoi abitanti, e dalla sua decisione di amare la Bestia a prescindere dal suo aspetto e dal suo brutto carattere che dipende il destino degli abitanti, da una sua volontaria presa di coscienza dei propri sentimenti.
Grazie a lei, l’incantesimo si spezza e la Bestia e tutti gli abitanti del castello ritornano normali, salvati da una condanna potenzialmente eterna.
Ma forse, l’aspetto che più ha attratto lodi da pubblico e critica è la mancanza del classico amore a prima vista: Belle è la prima principessa a non innamorarsi al primo istante della sua controparte.
E’ un amore che si affaccia e cresce gradualmente dopo un primo periodo di forte attrito con la Bestia, come nelle migliori commedie romantiche dove la coppia di piccioncini all’inizio è tutt’altro che affiatata e pare destinata a non diventare mai una coppia per quanto lui e lei siano degli opposti.
Molti hanno visto in questo una certa maturazione e uno scrollarsi di dosso di uno stereotipo irrealistico e poco efficace; da una parte, ho già enfatizzato come l’amore a prima vista non sia qualcosa da prendere alla lettera e che rappresenta più un ideale che una realistica rappresentazione di una storia d’amore, tra l’altro in un contesto che non dev’essere preso alla lettera nella maniera più assoluta. Dall’altra però, è comprensibile la soddisfazione nel constatare la presenza di un maggior realismo, o quanto meno di una maggiore credibilità, nella costruzione della storia d’amore e l’allontanarsi da un modo di raccontare fiabe ormai datato presso un pubblico man mano sempre più cinico e, in mancanza di termini migliori, adulto.
In effetti, forse qualche novità degna di nota ci sta.
Detto questo, ci sono un paio di aspetti affascinanti da esplorare: due in particolare mi vengono in mente: il primo è la lamentela (o quanto meno l’osservazione) di alcuni secondo cui Belle è “troppo perfetta”: è apparentemente priva di difetti, e dunque irrealistica come figura; il secondo è la teoria della sindrome di Stoccolma, ossia l’idea che Belle, anziché innamorarsi davvero della Bestia, sia semplicemente caduta vittima di questa psicosi come a volte succede alle vittime di rapimenti.
Sul primo punto, onestamente, non so che dire, se non che mi pare una stupida cosa di cui lamentarsi: è vero, Belle non presenta nessuno dei lampanti difetti che invece le precedenti principesse mostravano, ma ciò non la rende automaticamente perfetta.
In ciascuna scena, i suoi comportamenti risultano sempre e comunque umani, logici e assolutamente comprensibili, sia nel bene che nel male: quando entra nell’ala ovest e la Bestia la scaccia via, lei fugge spaventata, una cosa che molti avrebbero fatto al suo posto; nonostante il terrore che le ha appena causato, Belle decide comunque di soccorrere la Bestia ferita dopo che questi l’ha salvata dai lupi: anche quello è comprensibile, molti di voi probabilmente avrebbero avuto dei rimorsi di coscienza a lasciarlo nella neve così; nonostante il crescente affetto per la Bestia, quando viene a sapere che Maurice è da qualche parte sperduto nel bosco in difficoltà, il primo pensiero di Belle è di andare in cerca del vecchio padre: anche qui non c’è niente da discutere.
Più che pregi diretti o difetti ovvi, Belle è un amalgama di luci e ombre, di comportamenti realistici per cui è dunque facile provare empatia. Certo, l’unico pregio ovvio è che Belle sia così aperta e “avanti” rispetto agli altri (al punto che a tratti rischia di essere quasi un po’ anacronistica), ma in fin dei conti ci sta: dopotutto, lo scopo della fiaba è proprio insegnare ad essere aperti, a guardare oltre la superficie e scoprire cosa si cela in profondità, e a ben pensarci, è un modo davvero intelligente di “anticipare” il messaggio.
Quanto alla sindrome di Stoccolma: posso capire cosa vogliono dire.
Il fatto è che Belle non sa nulla dell’incantesimo, non sa che il suo amore trasformerà la Bestia in uomo; dunque è un po’ difficile credere che una donna possa “amare” un individuo del genere in quel senso, dando per scontato che rimarrà una bestia per tutta l’eternità. Ma anche in questo caso ci sono degli argomenti con cui controbattere: primo, non sono sicuro che la gente prenda quella teoria sul serio, e anzi credo che la maggior parte delle volte la butti sullo scherzo; secondo, la gente al giorno d’oggi spesso e volentieri confonde l’amore con la lussuria.
Amare qualcuno non significa volerci andare a letto, e il fatto che Belle alla fine dica di amarlo significa, per dirla semplice, “solo” quello: lei lo ama, tiene a lui, non vuole vivere senza di lui perché è riuscita a vedere ciò che si nasconde sotto il manto peloso e le zanne ed è di quell’animo nascosto di cui si è innamorata e che le permette di accettarlo per quello che è, aspetto animalesco incluso.
Terzo, questa è una fiaba, il cui messaggio è di guardare oltre le apparenze: la sospensione dell’incredulità è d’obbligo, e non riuscire ad accettare un simile concetto vuol dire non aver imparato la lezione che la storia cerca di insegnare.
Un ultimo punto riguarda l’ipotesi che Belle sia giusto lì per rompere l’incantesimo, niente più che un meccanismo della storia creato ad hoc.
Beh, a voler essere tecnici, ogni genere di personaggio in ogni tipo di narrativa è un meccanismo della storia, quindi non si tratta di chissà quale scoperta; a rendere i personaggi “veri” o no è quanto sono ben costruiti, e Belle è davvero ben costruita.
CURIOSITA’
- Per la prima volta in assoluto, una principessa Disney venne realizzata in due posti diversi e molto distanti fra di loro: i due animatori supervisori, James Baxter (Rafiki, Spirit nell’omonimo film DreamWorks) e Mark Henn (Ariel, Jasmine, Mulan, Tiana), lavoravano rispettivamente a Los Angeles e nella succursale in Florida, occupandosi ciascuno di specifiche sequenze e scambiandosi annotazioni e discussioni via fax. Questo ha creato alcune lievi discrepanze nel design, e infatti in alcune scene Belle ha un aspetto un po’ più snello e meno “rifinito”, particolarmente nella sequenza della canzone “Something There”.
- Belle venne doppiata in originale dall’attrice di Broadway Paige O’Hara, per volere del compositore delle canzoni Howard Ashman: è famoso l’aneddoto secondo cui Ashman, ricoverato in ospedale per complicazioni dovute all’AIDS, dava indicazioni all’attrice via telefono, con voce molto stentorea a causa della malattia. Una direttiva in particolare venne ritenuta molto confusionaria: mentre O’Hara registrava il verso della canzone “Something There” “…a bit alarming”, Ashman bisbigliava nel microfono una sola parola: “Streisand”. Fu uno degli assistenti della registrazione a capire quello che voleva Ashman, ossia che O’Hara cantasse il verso imitando l’attrice e cantante Barbra Streisand.