di P.A. Ferretti
Nel corso della sua storia, la Disney si è trovata in una situazione economicamente difficile per ben quattro volte e tutte e quattro le volte è arrivata una principessa a salvare la company e inaugurare una nuova stagione di successi.
Negli anni ’30, Biancaneve rappresentò il balzo dalla produzione di soli cortometraggi all’inizio del filone dei lungometraggi; nel 1950, Cenerentola salvò la Disney dai postumi della Seconda Guerra Mondiale e la riportò alla ribalta; nel 1989, Ariel diede inizio al cosiddetto “Rinascimento Disney” ponendo fine a un periodo di insuccessi di critica e o pubblico e di perdita di popolarità durato quasi trent’anni.
Qualcosa di simile è accaduto negli anni 2000, forse il momento più controverso della storia della company: reduce da una stagione di fallimenti di pubblico e critica come “Mucche alla riscossa”, “Chicken Little” e i “Robinson”, c’era il bisogno di riconquistarsi il favore della gente con un prodotto e dei personaggi che fossero nel solco della tradizione. E quale scelta migliore di una principessa? Dunque, continuiamo la nostra retrospettiva sulle principesse Disney con…
TIANA
“La principessa e il ranocchio” segna il ritorno delle fiabe classiche disneyane dopo un intero decennio di sperimentalismo; ma anziché adagiarsi sugli allori e ripetere pedissequamente la solita formula anni ‘90, essa viene intrisa di elementi di storytelling moderni che tradiscono la diversa epoca e Tiana ne è l’esempio più lampante.
Vediamo qui di seguito cosa la rende tanto speciale.
Per prima cosa bisogna parlare della questione che molti riterranno più importante, ossia che Tiana è la prima principessa nera nella storia della Disney.
È un fatto da citare per la sua importanza, vero, ma anche perché non si tratta di un elemento buttato lì a caso, solo per far contenti gli esponenti del politicamente corretto:
nel film viene fatto un lavoro egregio per integrare questo elemento nella storia, ambientandola nella New Orleans degli anni ’20 con tutto il contesto socio-culturale che ne consegue.
Il risultato è che l’etnia della protagonista risulta del tutto naturale, senza che ci si ponga molta enfasi e facendo passare in secondo piano le implicite considerazioni sulla tolleranza e l’accettazione (da notare che questo fatto provocò un certo scalpore, visto che nella versione originale della storia Tiana doveva essere una serva e non una cameriera).
Questo “naturalismo” è già di per sé un enorme pregio: infatti, di primo acchito si potrebbe dire che, per quanto riguarda le tematiche sul razzismo, Tiana sta ai neri come Pocahontas sta agli indiani, ma non è veramente così. Mentre in Pocahontas il razzismo era il tema focale della storia, qui invece è presente solo come elemento di sfondo, che si affaccia di tanto in tanto ma con discrezione, parte integrante dell’ambientazione in cui si svolge la trama. Anziché imbastire una parabola sulla discriminazione razziale, la cosa resta sempre sullo sfondo: un simile approccio sa molto di realtà e rispecchia alcune delle “contraddizioni”, se così vogliamo chiamarle, a livello sociale nel rapporto fra vari gruppi etnici.
Tiana infatti a un certo punto viene snobbata dagli agenti immobiliari in modo sottilmente crudele (“È meglio che una donnetta del vostro ‘ambiente’ tenga le sue manine lontane da un affare di questa portata, no? State meglio dove siete!”), ma allo stesso tempo la sua migliore improbabile amica è Lottie, la figlia viziata dell’aristocratico più ricco della città, appartenente a una classe sociale che in teoria dovrebbe rigettare qualsiasi contatto con gli “strati inferiori”, tanto più se non sono bianchi. Una stranezza che rende questa amicizia ancora più unica e preziosa.
A livello tematico e di personalità si sono fatti passi da gigante dai tempi di Ariel e Belle: in minima parte, frustrazione e desiderio di rivalsa o di fuga sono ancora presenti come tratti caratteriali, ma ormai sono stati del tutto travasati in uno scopo concreto da perseguire e lo sforzo materiale, consapevole per ottenerlo: a Tiana non interessa “vivere di avventure”, essere parte di un altro mondo o cose astratte di quel tipo. Il suo obiettivo è aprire un suo ristorante; in effetti, non solo un ristorante, ma il più grande, sontuoso, popolare ristorante di tutta New Orleans, “il gioiello della corona della Città Mezzaluna”, come lo chiamerà in seguito il Dott. Facilier. Un obiettivo ereditato dal defunto padre e ispirato alle sue parole e al proprio talento innato nell’arte culinaria.
Questo si traduce in una personalità più concreta: Tiana sta sempre con i piedi per terra, è “drogata di lavoro” (workaholic), ogni occasione è buona per fare uno sforzo in più e guadagnare qualche soldino per avvicinarsi passo passo alla realizzazione del suo sogno, e viene supportato in questo da un’apparente e notevole forza d’animo non dissimile da quella che a suo tempo mostrava Cenerentola. A differenza di quest’ultima però, non c’è spazio per i sogni a occhi aperti, le fantasticherie, gli amori o le distrazioni. Il che è bene… fino a un certo punto. Perché la sua forza è anche la sua debolezza: concentrata com’è sul proprio obiettivo, non si rende conto di aver perso di vista qualcosa di molto, molto più importante.
E questo ci porta al punto di maggiore interesse, ossia il modo in cui, attraverso la figura di Tiana, viene operata una brillante reinterpretazione in chiave moderna di alcuni dei più popolari topos disneyani. In primis, la stella della sera, introdotta tempo prima in Pinocchio e da allora divenuta una specie di marchio di fabbrica non meno di Trilli e Topolino. Nel corso degli anni, infatti, l’idea originaria della stella come simbolo di una speranza da non lasciar mai morire si è tramutata, agli occhi dei detrattori, in un pretesto di pigrizia: secondo il loro modo di vedere le cose, piuttosto che un inno a non perdere la speranza, la stella è un modo di dire “Basta desiderare qualcosa e vedrai che si realizzerà da sola, senza che tu debba fare niente”. Con Tiana, la Disney “rettifica” questa storpiata visione rendendo chiaro come il desiderio sia solo una parte del tutto, e che solo unendolo al duro lavoro esso sia davvero produttivo. Alcuni potrebbero storcere il naso per il modo un po’ didascalico in cui il messaggio viene esposto; ma oltre a essere un ottimo messaggio da impartire, nel contesto della scena (un padre che parla alla figlia di cinque-sei anni) funziona molto bene.
Il secondo topos è quello della principessa stessa: nel corso dei decenni si è assistito a una maggiore presa di coscienza di queste figure, le si è viste diventare man mano sempre più attive e prone ad agire in prima persona per ottenere ciò che vogliono. Il che è bene… ma ancora, solo fino a un certo punto. Con Tiana, il dilemma alla base di gran parte delle principesse precedenti viene smontato e analizzato pezzo per pezzo: nel loro caso infatti il culmine del loro arco narrativo consisteva nel veder realizzati i loro sogni, nel vederle ottenere ciò che volevano. Qui si ha il rovescio della medaglia, dove si mostra che a importare ancora più di ciò che si vuole è “ciò di cui si ha bisogno”.
Per Tiana, tutto ciò che conta è il suo sogno di aprire un ristorante, ma il film ci mostra anche come concentrarsi troppo sulle nostre ambizioni, per oneste e genuine che siano, come portare all’estremo il raggiungimento dei nostri sogni, ci privi di qualcosa, ci renda incompleti.
Nel caso specifico, si tratta dei rapporti umani puri e semplici, ma è implicito che “ciò di cui abbiamo bisogno” vari da persona a persona. Per Tiana, il suo sogno realizzato varrà qualcosa solo se avrà qualcuno con cui condividerlo. In una mossa che ha del geniale, il cerchio si chiude: dalle principesse in cui il concetto di amore era centrale, ci si è allontanati sempre più verso principesse il cui arco era fondato sull’emancipazione e sull’indipendenza, e qui si fa un passo indietro, si torna al principio ribadendo l’importanza di rapporti come quelli d’amore all’interno della nostra vita. Emancipazione e indipendenza sono buone cose, ma non sono tutto. Amore, affetto e fiducia sono altrettanto importanti, se non di più. E come in tutte le migliori commedie romantiche, Naveen si dimostrerà il perfetto contrappunto di Tiana: ciascuno è la metà mancante dell’altro, lei tutto lavoro e niente scherzi, lui tutto scherzi e niente lavoro. Gli estremi non sono mai atteggiamenti ideali, è sempre preferibile incontrarsi nel mezzo e giungere a un compromesso.
Per concludere, una grandiosa eroina che offre un’ottima rilettura in chiave moderna del topos più classico di tutti, mantenendone comunque integra la classicità. Pur con una traccia di concretezza in più, la purezza alla base di tutte le principesse, sia passate, che presenti, viene mantenuta.
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