
a cura di P.A. Ferretti
Amici Lettori,
si comincia già a intravedere la fine di questo lungo cammino intrapreso a fianco delle Principesse Disney, ma prima di arrivare al capolinea e dedicarci ad altre facce nascoste di questo unico, magico mondo, abbiamo ancora qualche tappa da affrontare.
Anche la principessa di oggi infatti rappresenta nel suo piccolo una rivoluzione, anche se puramente tecnica: si tratta infatti della prima principessa animata in computer grafica, la prima principessa dell’era dell’animazione tridimensionale.
Diamo perciò un saluto a:
Rapunzel

Il film a lei dedicato ha passato una storia travagliata, durante la quale si è passati da una versione moderna e ricca di sconvolgimenti, ad un approccio più tradizionale e “classico”, una strategia che sembra aver funzionato alla grande: un successo all’uscita, sia il film che il personaggio hanno di recente subito una sorta di ulteriore rivalutazione, scalzando alcune principesse successive (sapete di chi parlo) dal primo posto sul podio delle preferenze. La domanda è se tutto questo affetto sia giustificato o no.
A grandi linee, non ci sono molte differenze fra Rapunzel e i suoi illustri predecessori, dei quali condivide molte qualità e parecchi tratti caratteriali: quando la incontriamo è una ragazza solare ed espansiva, ottimista e allegra e, com’è ovvio per una persona cresciuta prigioniera in una torre e isolata dal resto del mondo, molto curiosa.
Tutte caratteristiche di base che abbiamo già visto, e non solo nelle principesse; infatti, la fanciulla dai lunghi capelli dorati riprende perfino alcuni elementi di lungometraggi disneyani non tratti da favole.
La sua situazione di isolamento e il rapporto con la “madre” Gothel è presa direttamente da quello fra Quasimodo e Frollo ne “Il Gobbo di Notre Dame”.
Simile è il percorso di crescita, che porta il/la protagonista a disobbedire all’ordine di restare al sicuro nel proprio “rifugio”, a scoprire le meraviglie e gli orrori del mondo esterno e infine a ribellarsi a quella che è, in fin dei conti, la tirannia del genitore adottivo. Ma se per Quasimodo ciò era motivato dal puro desiderio di libertà, per Rapunzel la cosa ha un carattere più personale: si tratta di un gesto votato alla ricerca delle proprie origini, simboleggiate dalle lanterne che vengono fatte volare ad ogni suo compleanno. Il percorso formativo di tutte le principesse moderne, che in un modo o in un altro cercavano anche di “scoprire sé stesse”, scoprire quale fosse il loro posto nel mondo, finora era rimasto implicito e qui viene reso manifesto. Il “chi/cosa sono?” metaforico di Ariel, Jasmine, Pocahontas, Mulan, da percorso sociale diventa un “chi/cosa sono?” letterale, non più sullo sfondo ma forse privo della stessa profondità.
In ogni caso, non è tutto rosa e fiori: pur in maniera leggera e votata alla commedia, ci viene mostrato come Rapunzel soffra di solitudine nel proprio isolamento e il suo ottimismo e allegria, alimentati dai vari “hobby” quotidiani, sono un modo ben consapevole di non precipitare nella disperazione.
Stranamente, però, su questi aspetti più “grigi” si glissa per lo più ed è soprattutto grazie alla sua innocenza, la sua dirompenza e la sua espansività se Rapunzel riesce a cavarsi fuori dai guai il più delle volte.

Un elemento particolare che la accomuna a Tiana è l’iniziale assenza di romanticismo: come la cameriera di New Orleans, la fanciulla dai capelli dorati non ci pensa proprio a innamorarsi e si imbatterà nel sentimento per caso, senza neanche cercarlo.
Tutto familiare, insomma; eppure, a rendere il personaggio diverso è ancora una volta l’esecuzione, ma non nello stesso modo operato con Tiana. Stavolta è qualcosa di più astratto e impalpabile, più una questione di atteggiamento e di pura scrittura dei dialoghi, più una questione di performance.
Ogni principessa è figlia dell’epoca in cui è stata creata: Biancaneve, Cenerentola e Aurora erano portavoce della rappresentazione romantica femminile rispettivamente degli anni ’30 e ’50, mentre le principesse successive hanno fatto proprie le tendenze indipendenti ed emancipatrici delle protagoniste filmiche tipicamente anni ’90, un modello a cui si agganciava relativamente anche Tiana, pur con i dovuti accorgimenti.

In mancanza di termini migliori, se Ariel era la prima principessa “moderna”, possiamo considerare Rapunzel la prima principessa “contemporanea”: il suo carattere e il suo modo di esprimersi sono permeati di un tipo di approccio leggermente comico debitore tanto delle commedie romantiche della scuola di Judd Apatow quanto delle sit-com più recenti.
Anziché puntare sulla purezza del suo carattere e presentarla in maniera tradizionalmente romantica, si punta più sulla risata: certi suoi aspetti caratteriali vengono occasionalmente esagerati o estremizzati in modo da provocare una reazione divertita, offrire contrasti inaspettati e per questo calcolati per strappare un sorriso o anche qualcosa di più dirompente.
Due scene sono emblematiche in tal senso: la canzone di presentazione di Rapunzel, durante la quale è lei stessa a descrivere la sua tipica giornata, e la scena in cui per la prima volta si ritrova fuori dalla torre. In entrambi i casi viene sovvertito l’approccio classico a favore di qualcosa di più leggero, dinamico e (a quei tempi) inaspettato: un film Disney vecchia scuola avrebbe forse posto l’accento su quelli che sono gli elementi fondamentali di quei due momenti, ossia la tristezza e la solitudine nel primo caso e la meraviglia nel secondo. Invece il primo ci viene mostrato mascherando i veri sentimenti della protagonista sotto uno strato di umorismo buffo e sempre più cinico e disincantato, mentre nel secondo Rapunzel si lascia andare a comici sbalzi d’umore il cui intento è chiaramente quello di ironizzare e far ridere, mettendo da parte atmosfere più auliche e chiamando alla memoria le varie Jennifer Aniston, Zooey Deschanel e altre protagoniste di commedie romantiche di inizio/metà anni 2000 (non a caso la doppiatrice originale, Mandy Moore, si è fatta le ossa in questo tipo di film). La bellezza e la purezza vengono così mischiate alla buffonaggine, all’essere impacciati, alle incertezze tipiche dei rapporti di coppia, tratti finora assenti e ora parte di un preciso meccanismo comico.
Questo significa che l’approccio da noi definito “classico” viene messo da parte e d’ora in avanti sarà questo tipo di comicità da “vita di ogni giorno” a dominare le caratterizzazioni dei personaggi disneyani; e quei pochi momenti in cui si concede dei richiami al metodo più tradizionale di mettere in scena le principesse trasuderanno sempre e comunque di un umorismo tendente alla satira; un umorismo ingiustificato, forse un modo per soddisfare chi ha sempre accusato il filone delle principesse di dare un’immagine denigratoria della figura femminile.

Ne è la prova la canzone con cui Rapunzel riesce a placare un’intera taverna di malviventi, che raggiunge tali livelli di volontaria assurdità da rasentare la parodia. Non solo degli ideali comunicati in questo tipo di canzoni, ma anche della tendenza stessa a cantare.
In definitiva, dunque, abbiamo di fronte come con Tiana un miscuglio di vecchio e nuovo; anche se stavolta il nuovo è su un livello più superficiale e meno “studiato” e anche se i suoi effetti a lungo andare possono risultare fastidiosi o discutibili, ciò non deve distogliere l’attenzione dagli aspetti positivi del personaggio, come la sua positività e la sua autosufficienza, entrambe lodevoli.
La solita principessa, solo in abiti (e tecnologia) diversi per un pubblico diverso.
