“Era l’11 Settembre” di Mirko Tondi

Articolo a cura di Isabella Cavallari

In occasione del ventennale del drammatico evento che ha sconvolto la nostra epoca, Mirko Tondi pubblica con NPS Edizioni il suo libro ERA L’11 SETTEMBRE, un libro particolare che unisce eventi ed individui che, forse, non sono poi così diversi.

Nel blogtour dedicato, condividiamo con voi questa interessante tappa rivelandovi alcuni estratti.

Buona lettura.


Estratto 1 – Incipit

“Chissà quante volte negli ultimi quindici anni Nando Barrella si sarà chiesto cosa starebbe facendo in questo momento, proprio adesso, se suo figlio fosse ancora vivo. Chissà quante volte, bloccato in un circuito crudele e ripetitivo, si sarà ritrovato a fantasticare sui momenti perduti, su quelli che avrebbe potuto rivivere o su quelli che avrebbe voluto cambiare. Di sicuro la maggior parte di quelle volte avrebbe fatto volentieri a meno di lanciarsi a testa in giù nel baratro delle colpe e dei perché, preferendo sguazzare nei dubbi di padre tuttora in attività. Ogni padre crede di vivere il supplizio di figli indisciplinati, viziati, complessi, incomprensibili. Ma solo un padre che ha perso un figlio sa quanto le normali preoccupazioni di genitore, i litigi e le lotte, i divieti, i lamenti e le privazioni, le ore insonni passate ad aspettare, tutto quanto sia niente in confronto a questo. A chiederglielo in questo momento, dopo un lungo silenzio dal tono funereo, avrebbe schioccato appena la bocca e voi sareste rimasti ad attendere una risposta. Non è vero che i silenzi sono assoluti. Alcuni di loro, alcuni più di altri, echeggiano le note solenni di Mahler o quelle epiche di Wagner. Altri ancora, come questo, contengono verità rumorose, eppure non dette, che appartengono a un uomo parziale, lontanissimo dall’essere comple-to, tantomeno assoluto.”

Estratto 2

Mentre leggevo un libro di Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia, mi sono imbattuto in questa citazione di Fitzgerald: “Naturalmente ogni vita è un processo di demolizione”. La frase mi ha trascinato con sé non appena l’ho letta, e subito l’ho riversata su un taccuino; ma più che altro mi sono ritrovato a riflettere sul fatto che stessi trascrivendo le parole di un autore riportate da un altro autore, come in un geometrico gioco di scatole cinesi, l’una il contenitore dell’altra. Annoto frasi come questa per rileggerle un giorno e ritrovarmi nell’esatto momento in cui le avevo scritte. Nel passaggio successivo, dunque, mi sono rivisto fra trenta o magari quarant’anni, quando avrei avuto più o meno l’età di Nando Barrella e probabilmente mi sarei ritrovato a rimpiangere con nostalgia quei momenti in cui già adesso, in realtà, rimpiango qualcosa che è avvenuto prima. Mi sono lasciato risucchiare da questo vortice senza via d’uscita, giacché vivo di ricordi e sono destinato a ricordare, non solo per me ma anche per gli altri; allo stesso tempo so che un giorno tutto questo mi sarà insopportabile, fino a non voler più ricordare. La demolizione, trascorsa ormai la mia esistenza, sarà completa. Al contrario, non so quale forza spinga Nando Barrella a voler ricordare a tutti i costi, al punto tale da dover pagare qualcuno per fossilizzare le sue memorie. Si tratta dello stesso meccanismo che attrae la maggior parte delle persone che si rivolgono a me: per quanto la volontà di dimenticare possa essere forte, prevale l’esigenza di raccontare, far riaffiorare il dolore anziché confinarlo nel territorio sperduto dell’oblio.

Estratto 3

Nonostante sia materia affascinante, il vero problema dei fallimenti è che a concentrarsi solo su quelli si rischia di non vedere più i successi, si potrebbe persino dimenticare di averne mai avuti. I piccoli traguardi raggiunti poi, lasciamo stare, roba da niente. Perché è questo in fondo quello che vogliamo tutti: stare almeno una volta all’apice e vivere un successo così grande da cancellare ogni delusione che abbiamo vissuto. Che un giorno leggano il nostro libro come si guarda un’Annunciazione del Beato Angelico e pensino “Questo è qualcosa che rimarrà per sempre”. Il mio libro, ma certo, questa sorta di romanzo notturno, un manoscritto balordo e ondeggiante, in cerca di forma. Non faccio che aggiungere spezzoni sfusi, materiale scollegato che si ammassa in una zona recondita dell’hard disk. Ma la cosa veramente bizzarra di questo libro è che appunto riesco a scriverlo soltanto di notte. Una volta, forse reduce dal metodo di studio universitario, ero capace di scrivere solo di giorno, meglio se la mattina appena sveglio; già il pomeriggio facevo molta fatica e, non appena sopraggiungeva il buio, mi costringevo a smettere, come se ci fosse stato un interruttore per spegnere l’attività di pensiero. Era solo un’abitudine ma, anche se ormai ben radicata, come tutte le abitudini poteva cambiare. Non è stata una scelta, però: difatti mi sono ritrovato a posticipare il tempo dedicato alla scrittura, relegando in fondo a quello che rimaneva della mia giornata l’unica cosa che mi interessasse davvero.

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