I Cassetti dei Sogni di Fabrizio De Sanctis – Blogtour

Amiche Lettrici e Amici Lettori,
quest’oggi siamo lieti di ospitare la tappa del blogtour dedicata al romanzo I CASSETTI DEI SOGNI di Fabrizio De Sanctis, in uscita con NPS Edizioni ed in anteprima al festival Lucca Città di Carta.

Noi oggi parleremo di MUSICA e ESTRATTI: buona lettura!


Estratto 1

Siciliano si fermò a guardare due statue esposte in una nicchia: una donna e un uomo; lei inginocchiata e a mani giunte, lui seduto, anziano, con barba e capelli bianchi. Le indicò a Clarice.
«Sei mai stata qui?» chiese, e lei scosse la testa. Allora proseguì: «La tradizione vuole che questi siano la Madonna e San Giuseppe. In tutte le città italiane, a partire dal tardo Medioevo, sorsero strutture come questa, dove i genitori che non potevano permettersi di crescere un figlio abbandonavano i neonati. Qui da noi c’era una specie di finestra, con una grata di ferro dalle maglie che permettevano il passaggio solo di bambini molto piccoli, di pochi giorni. I neonati venivano deposti su un pagliericcio fra queste statue, la Madonna e San Giuseppe, come in un presepe».
«Bello!» mormorò Clarice fissando le due figure.
«Fino a un certo punto. Il tasso di mortalità, nei primi mesi dall’abbandono, sfiorava l’ottanta per cento».
«Gesù!»
«Adesso capisci perché questo posto mi affascina e mi dà i brividi».
(…)
Arrivarono fino all’ultimo ambiente, più piccolo rispetto agli altri. Niente opere d’arte, quadri o statue. Solo un mobile semicircolare di legno chiaro. Il corpo di Arturo Battista, il direttore del museo, era a terra. A poca distanza, vicino al braccio destro, la pistola. E sangue in abbondanza, misto a materia cerebrale; anche su una delle pareti.
Siciliano guardò la scena di sfuggita. Aveva occhi solo per il mobile con le file ordinate di etichette racchiuse in cornici di metallo lavorato; una per ogni piccolo sportello.
I cassetti dei sogni.


Estratto 2

«Non sei tu, Attilio. La cosa mi preoccupa» disse il vicequestore Marini appena ebbero preso posto intorno alla sua scrivania.
Siciliano quasi non la sentì. Per tutto il tragitto dalla Scientifica alla Postale – in pratica mezza città, dal centro all’estrema periferia ovest – non aveva fatto che interrogarsi sulla chiave utilizzata da Battista per criptare le misteriose cartelle. Alessi non lo aveva disturbato; d’altra parte, lei stessa era disorientata da quella che non si poteva definire una coincidenza casuale.
Una delle regole auree, per un poliziotto, è rimanere asettico, non trasformare un’indagine in una questione personale. Tanti ci riescono, pensava Clarice dopo il “Non sei tu” della Marini. Tanti, ma non Siciliano. Quella frase dimostrava quanto il vicequestore non lo conoscesse. In quel momento lui era se stesso, al cento per cento: era lì, alla Postale, ma anche nella saletta del museo davanti al cassetto aperto e vuoto; era accanto a Battista mentre sceglieva quella chiave per criptare pagine piene di numeri e lettere senza senso; era Lucetta, abbandonata agli Innocenti, adottata e tornata per adottare; era tutti i bambini che avevano lasciato all’Ospedale i loro segni di riconoscimento senza mai vederne l’altra metà; era l’anziana del filmato che raccontava la sua storia, rammentando quanto avesse sperato che la bella signora venuta a promettere un ritorno non tornasse mai.
Era la dimostrazione che la regola aurea è una solenne stronzata: violandola non farai carriera, ti rovinerai il fegato, sbatterai la testa ovunque e non ti darai pace perché non ti accontenterai delle soluzioni più comode; ma sarai un essere umano e non una macchina.
Le tre piccole, lapidarie parole del vicequestore Marini spazzarono in un attimo, se ancora ce n’erano, gli ultimi dubbi dalla mente di Clarice.


Estratto 3

Osservò il numero. Non era in rubrica, perché non apparivano nomi. Per consolidata abitudine, non dava il suo senza un motivo serio e, di solito, lo scambio doveva essere reciproco. C’era un solo modo per mettere da parte i dubbi: aprire il messaggio. E molte cose cambiarono. Buongiorno, commissario. Le va di fare due chiacchiere con un assassino?
[…]


«Un giorno, forse, scoprirà che qualcosa le è sfuggito. E sarà tardi».
«Tardi per cosa?»
«Troppe domande, commissario».
Siciliano si accese un’altra sigaretta. «Non riesco a farne a meno» borbottò, scrollando le spalle.
«Mi è piaciuto parlare con lei».
«Su questo possiamo essere d’accordo. Anch’io, ogni tanto, parlo volentieri con me stesso».
«Sempre la battuta pronta. Buon segno. Adesso, però, deve darmi cinque minuti. Non le conviene
seguirmi».
«Sì, me ne rendo conto. Alla mia età non ho più l’animo dell’eroe».
«È una persona ragionevole».
«Gliel’ho detto: mi scoccerebbe morire prima dei miei capi».
«Ci risentiremo? Ci rivedremo? Non lo so. Di sicuro, sentirà ancora parlare di me».
«Non ne dubito».
«Buonanotte, commissario».
«Buonanotte».
Passi strascicati, sempre più lontani. Presto fu impossibile capire quale direzione avesse preso l’uomo. Siciliano schiacciò la sigaretta sotto un piede, rientrò in macchina, attese i canonici cinque minuti e chiamò Clarice.


Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Lascia un commento