Amici Lettori,
come annunciato qualche giorno fa (qui la presentazione), insieme all’autore Vincenzo Romano ho deciso di partecipare al FANTAVISIONTALE CONTEST e, quindi, sponsorizzare il mio scrittore offrendogli lo spazio necessario per concorrere al pari dei suoi contendenti.
Vi lascio quindi il racconto inedito e in versione integrale.
Gli estratti e le card, a corredare il tutto, saranno pubblicate direttamente sulle pagine social.
Grazie a Vincenzo Romano per la fiducia e la collaborazione.
Buona lettura!
San Tommaso del Verrocchio
di Vincenzo Romano
La presente è da considerarsi opera letteraria frutto di inventiva: ogni riferimento a cose, persone o fatti reali è da considerarsi puramente casuale.
Una goccia tiepida gli cadde sulla fronte.
Non riesco ad aprire gli occhi. Sento il mio corpo ma non riesco a muovermi.
Le tempie pulsavano al ritmo del cuore. Un lieve formicolio percorse le membra immobili, si trasformò in fastidio, poi in dolore intenso.
Claudio sentì le lacrime uscire, e restare imprigionate nell’incavo degli occhi. Sentiva le gambe, due pozzi di sorda sofferenza in fondo al suo corpo.
Mosse la bocca, ne uscirono suoni confusi e privi di significato. Un’altra goccia colpì il viso. Uno spasmo animò la figura distesa. Riuscì ad aprire gli occhi. Una fitta intensa di dolore accompagnò il bagliore. Un rantolo soffocato prese il posto di un grido.
Che male, eppure è solo luce.
Serrò di nuovo gli occhi e coprì il viso con le mani. Sentì qualcosa colpire il pavimento. Un oggetto che era stato appoggiato sul suo petto.
Maledetti ciarlatani. Altro che leggero formicolio!
Immobile, cercò di respirare piano. Si sentiva lacerato, come se mille corde stessero tirando il suo corpo in tutte le direzioni. La sensazione si attenuò lentamente. La testa era pesantissima.
Devo riprovare, non c’è molto tempo.
Riaprì gli occhi proteggendoli con le mani.
Dove sono? Cos’è questo odore pungente? E questo calore? Sto sudando.
L’uomo cercò di rivolgere lo sguardo all’esterno, la luce obliqua di un tramonto filtrava da una finestra aperta. La parete alla sua destra iniziò a fumare e da un buco annerito il giallo e il rosso delle fiamme che si inseguivano nell’aria rovente.
Questo posto sta bruciando! E io non riesco a muovermi. Ehi cos’è quello?
Aveva qualcosa appoggiato sul torace. Un oggetto rettangolare, morbido, rivestito di pelle. Un libro, un diario
Devo uscire di qui!
Il fumo riempì la stanza in pochi secondi. L’aria calda aveva un sapore acre nella gola riarsa. Trattenne il respiro, si stese a terra e prese a strisciare. Imboccò un breve corridoio, pochi metri lo separavano da una porta; i tendini gli facevano male a ogni movimento, strinse i denti e proseguì.
Sono troppo lento, se non mi do una mossa ci muoio qui dentro.
Si alzò in piedi, maledicendo ogni singolo movimento. Si trascinò penosamente attraverso il corridoio, il fumo invase rapidamente anche quell’ambiente. Non vedeva più nulla, si mosse a tentoni alla ricerca della via di uscita. L’aria calda lo soffocava.
Presto, presto!
Stringeva al petto il libro. Il calore che emanava dalle pareti roventi lo investiva a ondate, si muoveva cercando di non toccare nulla. Era lento, il caldo si sovrappose al dolore in una morsa micidiale.
La porta! Forza.
Varcò la soglia provando immediatamente una sensazione di sollievo, si allontanò di qualche passo dalla costruzione in fiamme prima di lasciarsi cadere nell’erba fresca. Lasciò che l’aria dolce della sera gli invadesse i polmoni. La respirò avidamente, gustandone il sapore. Gli ultimi raggi del sole gli sfioravano la pelle. Accarezzò la rilegatura del tomo che teneva ancora stretto a sé. Avrebbe voluto riposare, ma doveva mettersi al riparo. Si guardò intorno alla ricerca di aiuto.
Nessuno, forse è meglio così.
Il fumo si levava verso il cielo in ampie volute, mentre l’incendio consumava le travi annerite.
Inspirò un’ultima boccata d’aria fresca prima di chiudere gli occhi e riposare, il dolore stava lentamente allentando la morsa sul suo corpo.
La meraviglia si fece strada attraverso le altre sensazioni.
Non riesco a credere che abbia funzionato. “Un piano disperato resta tale fino a che non riesce.”
Il ricordo delle ultime parole di Sara gli strappò una specie di sorriso.
Il tetto crollò con fragore, la struttura collassò su se stessa.
L’incendio! Devo sbrigarmi, e nascondermi.
Claudio fece un respiro profondo, prima mise un ginocchio a terra, poi si alzò in piedi; un passo, poi un secondo.
“Respira, soldato!”
«Sissignore» mormorò tra i denti. Con passi via via meno incerti si inoltrò tra gli alberi. Al riparo della boscaglia si concesse una breve sosta.
Come faccio a sapere che mi trovo nel posto giusto? Il libro è autentico, ma qualcosa potrebbe essere andato storto. Avrei dovuto insistere per avere un appoggio.
Osservò ciò che restava della struttura in legno dalla quale era uscito.
Te lo meritavi, bastardo. Quello che hai scritto qui dentro è sufficiente per non farmi provare alcuna pena per te. L’incendio di un piccolo monastero non passerà alla storia, soprattutto durante un’invasione, ma tu hai finito di fare i tuoi affari.
Un fruscio richiamò la sua attenzione. Si rannicchiò dietro un cespuglio in attesa. Sentì l’adrenalina riattivare le sue percezioni, immobile tese i sensi per cogliere il più piccolo segnale.
Il cinghiale passò senza curarsi del suo appostamento. Claudio fece un respiro profondo, rilassando i muscoli.
La missione! Non devo distrarmi.
Si mosse rapido cercando di fare poco rumore, prese un sentiero per non restare nelle vicinanze del monastero bruciato. Dopo circa un’ora fece una sosta, sistemandosi alla meglio in un rifugio da cacciatore abbandonato.
Il passaggio mi ha stremato, devo riposare.
«Se fallissi saremmo tutti perduti…»
Un sonno tormentato venne in soccorso sua della mente, ingombra di pensieri densi e pesanti.
Sognò una casa, la sua casa, costruita nelle vicinanze della grande piazza del mercato, sempre brulicante di suoni e colori. La sua città e il suo mondo erano vicinissimi a diventare un deserto. Gli invasori stavano vincendo, gli uomini non avevano la forza di contrastare le loro macchine e le loro armi. Sognò i maghi, con le loro tuniche rosso brillante e i crani rasati ornati di gemme. Lo avevano coinvolto in quell’ultimo disperato tentativo. Rivisse il rituale, i segni tracciati sul pavimento con il sangue, gli stregoni che formavano un cerchio intorno a lui, la sala dalle pareti bianchissime, il vapore rossastro che saliva dai simboli mistici, la sensazione di leggerezza, di inconsistenza delle sue membra. Si svegliò del tutto, quel tipo di sogni non consentiva di riaffacciarsi alla realtà con dolcezza.
Fa freddo dannazione, dovevo coprirmi di più.
Era stato addestrato ad agire senza equipaggiamento, troppo complesso e pericoloso da inviare.
«Se continuo a parlare da solo diventerò pazzo» mormorò.
Ecco, l’ho fatto di nuovo, sarà meglio che mi sbrighi a trovare qualcuno che possa aiutarmi, non ho intenzione di restare qui per sempre.
Si mise in marcia, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti e di qualcuno a cui chiedere informazioni. L’alba tingeva di rosa metà del cielo, mentre lui ripassava le istruzioni ricevute. La strada per Firenze era un viottolo lastricato di pietre, che individuò con facilità salendo su una piccola altura. Tagliava la campagna da nord a sud, seguendo il profilo delle colline.
Un cartello al primo crocevia gli confermò che stava andando nella direzione giusta.
Non potevano darmi qualcosa da scambiare quegli stregoni da strapazzo? Ho soltanto il diario di un abate disonesto, morto in un incendio. A proposito di incendi? Cos’è quello?
Una colonna di fumo attirò la sua attenzione; ne raggiunse la base passando per i campi. Un accampamento improvvisato era stato devastato e dato alle fiamme. I cadaveri abbandonati in giro avevano già attirato l’attenzione di topi e uccelli rapaci.
Buon per me, magari trovo qualcosa da mettere addosso al posto di questa tonaca sudicia.
Con cautela si aggirò per l’accampamento, finché trovò un cadavere cui potesse sottrarre abiti più o meno integri. Vestito come un soldato di ventura riprese il cammino verso Firenze. Marciò lungo la strada per diverse ore senza incontrare anima viva.
Dove sta la gente di questo maledetto posto?
Mentre il sole rivolgeva il suo ultimo sguardo al crinale occidentale delle colline, Claudio scorse un edificio, poi un altro. Un segnale malamente attaccato ad un palo conficcato nel terreno diceva: San Casciano.
L’uomo cercò un luogo di ritrovo, aggirandosi con passo svogliato tra le case. Il paese sorgeva in cima a un’altura. Superato il punto più alto dell’abitato, scorse finalmente la sua destinazione: Firenze giaceva nella valle con i tetti baciati dalla luce dorata del tramonto.
Restò assorto in quella visione, distratto. Il colpo giunse rapido e preciso alla nuca, gli occhi rotearono all’indietro e Claudio si accasciò privo di sensi.
Il tono perentorio della voce di un uomo lo risvegliò. «Forza bifolchi, portiamo questo mercenario al campo, ci sono un bel po’ di cose che il capitano vorrà sapere da questo qui.»
Aveva i piedi legati insieme, i polsi stretti dietro la schiena e un bavaglio. La testa gli ronzava.
Almeno ho trovato qualcuno…
Alcuni uomini gli si avvicinarono e lo tirarono su a forza, tenendolo sotto le ascelle. Quello alla sua destra diede di gomito al suo vicino, mormorando «Come avrà fatto ad arrivare così a nord senza essere beccato? Napoli deve pagare molto bene questi uomini per fargli compiere follie del genere.»
L’ufficiale con il giglio sul corpetto gli si parò davanti con le braccia ai fianchi. «Muoversi ho detto, siete soldati, non madonne in gita pei colli!»
Il piccolo plotone raggiunse il suo accampamento e varcò l’ingresso della palizzata di legno su cui garriva lo stendardo con il giglio rosso in campo bianco.
Claudio fu gettato di malagrazia in una robusta gabbia di sbarre di ferro.
Ancora dolore diffuso, sordo, sperò di non doverci fare l’abitudine.
Mi sono lasciato prendere alle spalle, sono un maledetto idiota.
Il manipolo si sciolse all’ordine dell’ufficiale.
Claudio attese paziente l’arrivo del buio.
Diamoci da fare. Spero di ricordare la pronuncia corretta.
«Acqua!» gridò.
Un’ombra si mosse, allontanandosi da uno dei fuochi accesi all’interno della palizzata.
«Dormi, bestia!» gli gridò. «Non ti abbiamo portato qui per svegliare tutta la compagnia.»
«Acqua, dammi dell’acqua; per favore.»
Una ciotola di legno riempita a metà da un barile fu tutto quello che ottenne.
Bene, non vogliono uccidermi, almeno non subito, tanto vale provare a riposare.
L’alba giunse fin troppo presto, Claudio aveva dormito male e la luce del sole lo infastidiva.
Si sforzò di aprire gli occhi e esaminare la sua prigione. Tre lati in ferro e uno di solide assi che ospitava la porticina attraverso cui l’avevano scaraventato. La gabbia era appoggiata su un piccolo carro, insieme ad altre casse di legno più piccole. Oltre al carro all’interno del recinto c’erano alcuni fuochi sul punto di spegnersi, una ventina di piccole tende e un palo a cui erano legati due cavalli e due muli.
Si sentiva indolenzito e sporco.
Mi ci vorrebbe un bel bagno caldo proprio adesso. Cerchiamo di capire in che guaio mi sono ficcato.
Il campo si stava ridestando per una nuova giornata. Le sentinelle rientravano per godersi qualche ora di meritato riposo. Un giovane soldato dall’aria trasandata gli si avvicinò. «È ora di colazione figlio di cane» urlò, scagliando tra le sbarre un pezzo di pane vecchio di molti giorni.
«Fammi… fammi parlare con il tuo capitano.»
«Non temere bastardo, ci parlerai presto, ho proprio voglia di sapere che fine deciderà per te.»
Claudio si diede da fare per mangiare la pagnotta dura, non poteva permettersi di restare privo di forze.
Il sole era già alto quando un uomo si avvicinò alla gabbia. Indossava un’armatura identica a quella degli altri soldati, e parimenti usurata. Il suo incedere era però elegante; teneva la testa alta e gli occhi neri puntati su di lui. Camminando non incrociava lo sguardo di nessuno, e i soldati si ritraevano con deferenza al suo passaggio, guardandosi tutti distrattamente le punte degli stivali.
Che io sia dannato se tu non sei il capo di questa banda di tagliagole.
Claudio tacque, non era nella posizione di fare domande.
Fu il capitano a esordire. «Per chi combatti, cane?»
Speravo che almeno nel linguaggio potessi distinguerti, caro capitano di ventura.
«Beh, rispondi o devo farti torturare? Sei con il Papa? Con Napoli?»
Un colpo di tosse squassò la gola del prigioniero, che riuscì appena a rispondere. «Nessuno dei due.»
«Per chi combatti allora? Parla! O te ne pentirai!»
«Questa non è la mia guerra, sto cercando un amico disperso durante un combattimento. Devo raggiungere Firenze, lui farà lo stesso.»
«E cerchi di andarci vestito come uno dei nostri nemici? Non sei poi tanto intelligente, dico io.»
“Non dirgli la verità. Va rivelata solo se indispensabile.”
«Mi ero rifugiato nel monastero di Tavernelle, a un giorno da qui, quei briganti hanno incendiato tutto e sono scappati. Sono salvo per miracolo. Per strada ho incontrato un drappello di soldati morti,» indicò gli abiti che aveva addosso, «a loro questi non servivano più.»
«E così saresti un povero disgraziato che ha rubato i vestiti sbagliati eh? Parli troppo bene per essere francese, ma non sei di Firenze.Da dove vieni?»
«Volterra.»
«Non sarò io a ucciderti, uomo di Volterra. Ci farai compagnia da quella gabbietta fino alle mura. Una volta a Firenze decideremo cosa fare di te.»
Claudio abbassò lo sguardo per non tradire le sue emozioni.
Vado in città con la scorta, non potevo chiedere di meglio.
La compagnia si mise in marcia a metà della mattina. Poco dopo mezzogiorno sarebbero rientrati al riparo delle mura. Il capitano, lasciato il vessillo in testa alla colonna, cavalcava lungo la fila per mantenere l’ordine, la compagnia era euforica per il ritorno a casa.
La gabbia sobbalzava a ogni irregolarità del terreno. Per la prima volta dal suo arrivo Claudio aveva tempo per guardarsi attorno. La città, adagiata in una valle circondata da colline, stava vivendo il suo periodo d’oro. Quella magica combinazione non si sarebbe mai più ripetuta. In quel periodo storico Firenze era uno degli snodi fondamentali…
Maledetti incantesimi mentali, mi hanno ficcato in testa una montagna di informazioni inutili.
L’uomo sorrise ripensando al litigio con Sara. Sprecare energia magica per insegnargli nomi, date e stemmi di famiglie importanti era un crimine per lui. Poteva cavarsela bene anche senza tutte quelle nozioni.
Lei era d’accordo con i maghi; era necessario conoscere bene il luogo in cui sarebbe stato mandato per poter sperare di avere successo.
La voce del capitano lo riportò alla realtà. «Fermi, fermi qui. Dobbiamo parlare con le guardie se non vogliamo essere infilzati come fagiani.» Quindi si incamminò verso la porta, accompagnato dal suo stendardo. Lo stemma gigliato oscillava dolcemente a ogni passo dell’alfiere.
Devo trovare il modo di scappare prima che mi chiudano in una vera cella. È il momento di fare una bella sorpresa a questi gentili signori.
Claudio si gettò con tutto il suo peso contro un lato della gabbia in cui era rinchiuso.
«Ehi, l’uccellino vuole scappare!» commentò ridacchiando un soldato. «Che c’è, non ti piacciono le celle dei Medici?»
Lui lo ignorò e diede un altro colpo. La gabbia si mosse verso il fondo del piccolo carro.
«Falla finita, non riuscirai a spezzarla!»
Un altro colpo.
Lo sventolio dello stendardo, ancora presso la porta, diede alla compagnia l’ordine di avanzare.
La gabbia era sbilanciata. Claudio attese la partenza del mulo per darsi lo slancio. Sfruttando quel momento si scagliò nuovamente contro le sbarre.
Cadi maledizione!
La gabbia rotolò giù dal carro, in quell’istante il suo occupante svanì.
«Maledetto bastardo, ti darò tante di quelle bastonate da farti passare la voglia di scherzare!»
«Dove diavolo è finito? Ehi, venite qui! Il prigioniero è scappato.»
La colonna che si stava mettendo in marcia si disperse subito, affollandosi intorno al carretto e alla gabbia. Nella confusione che seguì, qualcuno aprì la serratura per guardare all’interno.
Era ora!
Claudio scattò in avanti, ignorò il dolore alla testa per l’urto di poco prima, spalancò la porticina e si gettò fuori scansando alcuni soldati, resi immobili dall’incredulità.
Credevate di avermi preso in trappola? Meno male che sono stato prudente.
Corse verso l’ingresso della città, incrociando il capitano che stava tornando indietro per capire il motivo di quel trambusto. Si addentrò tra vie e vicoli badando solo a non toccare nessuno, quando fu solo mormorò la formula di interruzione e tornò visibile.
Adocchiò un uomo che camminava da solo venendogli incontro. «Devo sbarazzarmi di questi vestiti. Prenderò in prestito i suoi.»
«Domando scusa messere, potrebbe cortesemente indicarmi…» il colpo raggiunse la nuca del fiorentino, che cadde stordito. Claudio trascinò il malcapitato in un vicoletto laterale. Si cambiò rapidamente, indossando abiti meno riconoscibili, quindi ritornò in strada a passo sicuro.
Gli ci volle meno di mezza giornata per trovarlo. Sapeva dove abitava e presso quale casa stava svolgendo i suoi studi. Capelli lunghi, scarsamente pettinati, una tunica ampia e poco ricercata.
«Voi siete quel giovane artista figlio di Ser Piero, messere?» chiese piano, per non attirare l’attenzione di altre persone.
«Chi mi cerca?» rispose calmo il giovane, i suoi occhi sembravano guardare qualcosa in lontananza.
«Il mio nome non ha importanza, ho un messaggio molto importante da riferirvi.»
«Se venite per conto dei miei creditori, messere, ditegli che ho quasi ultimato delle opere già vendute.»
Claudio sorrise «I creditori non c’entrano, è una faccenda assai più seria. Voi dovete lasciare al più presto gli studi che avete intrapreso.»
«Come osate! Non sapete nemmeno di cosa…»
Ascoltami imbecille, stiamo parlando della sorte degli abitanti di questo mondo.
«Se lo farete, il mondo intero vi sarà debitore.»
«Non lascerò i miei studi, ci ho messo anni per trovare un nuovo punto di partenza.»
«Se non mi ascoltate condannerete tutti quanti, concedetemi pochi minuti della vostra attenzione. Deciderete dopo se fare ciò che chiedo.»
Il giovane annuì e i due si incamminarono verso la via dei Calzaiuoli.
Non sarà facile, ma devo convincerlo a ogni costo. Ecco, questo è il posto giusto.
Il Cristo del Verrocchio li accolse con il braccio levato e l’espressione serena.
«Chissà come sarà quando sarà finita?» Esordì Claudio.
«Messere, ma quest’opera è finita.»
«Sapete bene che non è così, anche se ci vorranno altri cinque anni perché San Tommaso venga a fare compagnia a Gesù.»
Il giovane trasalì. «Ma voi come fate a…?» Una sfumatura allarmata nella voce gli confermò che la strada era giusta.
«Il motivo non sarà facile da credere, ma so che il progetto prevede due statue. Vi ho portato qui perché il mio San Tommaso siete voi.»
Un lampo di curiosità attraversò gli occhi del giovane. «Continuate.»
«Ufficialmente siete allievo di Toscanelli. Studiate geografia, astronomia, fisica e anatomia. Io so che questo non è vero.»
«E cosa starei facendo, di grazia?»
«Esoterismo, magia. Sono queste le materie che state segretamente praticando.»
L’espressione del giovane mutò di colpo. Non rispose.
«E adesso arriva la parte difficile: vi rivelerò il motivo per cui dovete lasciar perdere questi studi e ritornare all’ingegneria e alla meccanica.»
Ancora silenzio.
«La storia di gran parte dell’umanità dipende da questa vostra scelta.»
«Cosa? Voi dovete essere pazzo. Io sono un garzone di bottega.»
«Il mio nome è Claudio, sono stato mandato qui da un tempo lontano per cambiare il futuro.»
«Il futuro?»
«Tra molti anni saremo attaccati da gente di un altro mondo. Verranno con delle navi in grado di solcare i cieli. La nostra magia non sarà in grado di fermarli… e perderemo.»
Mi aspettavo un’espressione più stupita, forse non riesce a comprendere quello che gli sto dicendo.
«Perdonate, messere, non ho capito cosa c’entro io con questa favola.»
«Voi, dopo alcuni anni trascorsi a studiare arte nella bottega del Verrocchio, vi siete dedicato al mondo dell’occultismo. Quello che avete scoperto influenzerà la storia del mondo in un modo che non immaginate.»
«Mi parrebbe codesta cosa buona. Sono in errore?»
«I nostri sapienti hanno interrogato il passato per molti anni. Non vinceremo mai questa guerra con le arti magiche. Dobbiamo combattere la gente di un altro mondo con le sue stesse armi.»
«Cosa dunque vorreste da me?»
«Se voi abbracciaste lo studio della scienza, il futuro cambierebbe strada. Potremo essere pronti a difenderci quando le navi verranno dal cielo per attaccarci.»
«Come faccio a sapere che non mi state prendendo in giro?»
Non lo convincerò continuando a parlare con lui, devo usare le maniere forti.
«Vi lascerò guardare nella mia mente. Vedrete tutto con i Vostri occhi» Prese le mani del giovane e se le portò alle tempie.
«Guardate voi stesso, vi mostrerò il futuro.»
E Leonardo vide.
Vide il mondo come sarebbe stato secoli dopo la sua morte, vide gli uomini piegare le energie della natura con formule magiche sempre più complesse per ottenere quanto necessitavano.
Vide la speranza sbocciata con l’avvistamento delle navi spaziali, e la delusione, cocente e dura, ai primi segnali ostili da parte dei visitatori.
Vide la guerra, e tutti i vani tentativi di fermare gli invasori con la magia. La tecnologia degli spaziali era in grado di creare grandi devastazioni in pochi istanti. Nessun mago poteva altrettanto.
Vide macchine volanti, scafi in grado di navigare sott’acqua e carri dall’armatura quasi indistruttibile.
Vide il piano disperato dei Saggi, la scelta di Claudio e il suo durissimo addestramento in preparazione alla missione.
Come San Tommaso vide, e credette.
Quando si risvegliò, seduto a terra contro il muro di un edificio, Leonardo seppe che da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata.