a cura di Francesco Bignardelli
Salve a tutti lettori e bentrovati dopo tanto tempo nella Stanza dei Giochi del nostro blog.
È passato veramente tanto dall’ultima volta che abbiamo aperto questa stanza; ci piace parlare e discutere con voi, ma quando abbiamo qualcosa di concreto di cui parlare, e lo stesso vale se vogliamo portare alla vostra attenzione qualcosa che ci colpisce.
Paradossalmente non avevamo tematiche concrete da portarvi: uso il termine “paradossalmente”, perché in questi ultimi anni sono stati scritti veramente tanti giochi di ruolo, di ogni genere, tipo e modalità di gioco; ci sono ad oggi un numero incredibile di possibilità e tante cose di cui si potrebbe parlare, ma è anche vero, dal punto di vista di questo blog, si ha la percezione che il mercato ha raggiunto un livello di saturazione dei contenuti che si possono trovare; questa saturazione, per paradosso appunto ci lascia poco di cui parlare.
È come andare al Lucca Comics di quest’anno, entrare nel padiglione Carducci o nelle aree dedicate ai games, vedere TUTTO il vendibile, e non acquistare NIENTE: perché si è così circondati dalle tante proposte, che non riesci a orientarti e così ti perdi anche possibili chicche che potevano interessarti (storia vera): so bene che questa è una visione personale e che può scatenare perplessità per una dichiarazione di questo genere, ma credetemi sulla parola quando vi dico che non è facile trovare veramente qualcosa di cui voler parlare.
Detto ciò, di cosa dovremmo parlare? Del continuo boom che imperversa con la quinta edizione di D&D, e di come il ideo gioco Baldur’s Gate 3 gli abbia dato ancora più? Di come giochi come Il Richiamo di Cthulhu o Vampiri tentino di prendere quella fetta di pubblico che cerca altro? Diventa banale e offre pochi spunti di discussione, che spesso, sfortunatamente, sfocia nel radicalismo o nella tifoseria becera. E quindi parliamo di giochi di ruoli fatti in Italia.
Nel nostro paese, soprattutto in questi ultimi anni di esplosione dei GDR, c’è stato un grosso aumento di uscita di manuali nostrani: tutti, e ripeto tutti, coloro che hanno giocato per molto tempo ai giochi di ruolo, prima o poi hanno esclamato la fatidica frase “Ma io avrei in mente un mio gioco…”, un sogno che però alcune persone, sono riuscite a rendere reale.
Questo sogno deve fare i conti con la realtà, con i costi alti di produzione, il lavoro di editing che può portare a volte a cambiare il gioco tanto sognato, e tanti altri problemi: tutte cose che già non facilitano il lavoro delle “grandi” case editrici, figurati gli altri.
Se poi si riescono a superare tutti i vari problemi di creazione e produzione, c’è un altro ostacolo di ben altra gravità, un ostacolo diffuso tra i giochi “made in italy”; parliamo di GDR a mio avviso straordinari, bellissimi, pieni di idee e di buoni propositi; manuali che noi master sfogliamo e assaporiamo con grande gusto e passione, per poi renderci conto della realtà: sono giochi poco giocabili.
Che intendo dire con questa affermazione, che ammetto essere un po’ forte? Spesso mi trovo davanti a manuali incredibilmente belli da leggere come se fosse una serie di saggi illuminanti; ma faticosi da far giocare.
Quando si arriva al dunque e creare l’avventura mi ritrovo davanti a tante problemi; si comprende come il gioco non sarà mai compreso del tutto vista la sua articolazione, oppure semplicemente quel gioco ha puntato tanto a rendere credibile l’ambientazione, a discapito di un sistema di gioco. Questo butta giù un narratore, ma anche dei giocatori che si
sentono inadatti al gioco, come se il gdr scelto sia “troppo” per loro.
Questo nella mia personale esperienza è avvenuto e avviene tuttora, e come conseguenza si hanno sempre dei dubbi sui giochi italiani. Per fortuna ci sono delle eccezioni, tra cui il gioco uscito poco tempo fa:
Dawn of Pripyat
Gioco di ruolo edito dalla casa editrice “Collettivo Antracite”, che ci propone un gioco con un mondo molto particolare, distopico non semplice da etichettare. Andiamo però con calma analizzando quello che abbiamo davanti.
Sistema di gioco
Dawn of Pripyat usa utilizza il regolamento di Year Zero Engine, un sistema di gioco con l’uso del dado a sei facce; YZE da al gioco una modalità che porta il giocatore
a immergersi nell’ambientazione, dando velocità e pericolosità nelle scelte che i personaggi dovranno fare; con il risultato di 6 come successo, si facilita anche la
parte dei calcoli da dover fare, rendendo di contrappeso il gioco mortale per i personaggi che si muoveranno per il mondo di Dawn of Pripyat.
Già usato da altri giochi europei, non credo ci siano altri giochi che si sono spinti ad utilizzare questo sistema spinto soprattutto dalla casa svedese di Free League. Un sistema, quindi, rischioso per i giocatori, ma che può divertire e appassionare; inoltre l’immediata immersione nel gioco aiuta non poco i giocatori, lasciando
spazio all’interpretazione.
Ambientazione
Il mondo che ci viene presentato in Dawn of Pripyat è un misto tra una ucronia/distopia con tratti di survival, investigativo e altro: i giocatori si potranno muovere nel nostro mondo, ma è un pianeta molto diverso da quello da noi abbiamo conosciuto.
C’è un panorama politico ed economico diverso dalla realtà, ma sarà comunque facile adattarsi, anche perché la modifica che avviene nel tempo è avvenuta a pochi decenni di distanza da noi. I giocatori dovranno destreggiarsi tra organizzazioni e fazioni influenzate dalla potenza egemone, la Russia: non dirò troppo per non spoilerare le info del nucleo di gioco, ma posso dire che la scelta di come ambientare il tutto è molto curiosa.
Personalmente non è il genere in cui mi trovo meglio a giocare, ma il lavoro fatto, l’attenzione ai dettagli, la coerente articolazione delle possibilità di gioco e snellezza della narrazione e della giocabilità sono innegabili. Il gioco da spazio alle idee dei giocatori e ci sono varie possibilità di trama e di come far evolvere i personaggi giocanti.
Tutto questo unito al sistema di gioco usato lascia tanta libertà nel gioco di Dawn of Pripyat
In definitiva
Come già detto per l’ambientazione, questo GDR non è parte della mia zona di confort ma, premesso ciò, è veramente una boccata d’aria fresca per il panorama italiano.
Il manuale cartaceo è stato lavorato con cura, lasciando agli appassionati un’opera di cui andare fieri anche da un punto di vista estetico.
Quello che posso dire riguardo Dawn of Pripyat è che si tratta di un gioco ingegnoso, forse non si inventa niente dal nulla ma rielabora dei concetti lasciando molta
giocabilità, ed è questo il punto focale della recensione: giocabilità!
Quello che secondo me serve ora, quello che
è veramente utile ai giocatori è la giocabilità.
Chi prenderà in mano Dawn of Pripyat avrà questa sensazione: finito di leggere il manuale sarà sicuro di poter dare sfogo in modo concreto alle proprie fantasie e idee, senza dubbi di alcun genere.
Questo è il fulcro di questo gioco di ruolo, e questo è il fulcro che ogni GDR dovrebbe avere.
Concludendo
Dico con forza sì: è importante sempre appoggiare ciò che viene prodotto in Italia e rafforzare questo piccolo mondo, circondato spesso da giganti che soffocano e prendono spazio su spazio. Solo noi possiamo fare qualcosa a riguardo, supportando ogni volta che si può queste realtà (e con i kickstarter diventa tutto più facile); proprio perché la varietà di genere è così ampia, ognuno di noi può trovare qualcosa che può sentire suo, e ognuno di noi può così fare la differenza!