Sognatori Cari,
anche oggi vi proponiamo una raccolta di liriche: siamo alle prese con TUTTO IL RESTO APPASSI’, raccolta curata da Gioele Ammirabile e pubblicata con Terra Marique Edizioni.
Buon viaggio, in compagnia di chi di poesia davvero se ne intende…
TUTTO IL RESTO APPASSI’
di Gioele Amirabile
Terra Marique Edizioni
116 pagine – 10 euro
Le poesie di “Tutto il resto appassì” nascono come uno sfogo, rappresentando tre anni e mezzo di cambiamenti nella vita dell’autore. I concetti cambiano man mano che gli scritti avanzano, dalla misantropia e dall’ostilità nei confronti del mondo si raggiunge la volontà di ricerca di quei valori, che sembrano essersi assopiti nell’uomo del ventunesimo secolo. Una sola richiesta da parte dell’autore: sappia il lettore cogliere in queste pagine una giovane voce che cresce e matura, con la quale possa condividere le emozioni espresse in ogni verso poetico.
Recensione a cura di Vincenzo Calò
Un triennio e poco più di mutamenti avvenuti per la
condizione propria, vitale; trattasi di una situazione ordinaria quella di
ottenere definizioni che si evolvono, proporzionali ai testi che si compongono
instaurando un principio di neodecadentismo.
I passi si compiono cominciando dalla scontrosità
accertabile per un’avversione forte dacché triste e veritiera è l’esistenza
terrena, per giungere al desiderio di concentrarsi sui principi svenevoli ma
radicati nell’umanità di quest’epoca moderna.
Un grosso, amaro boccone a seconda dei modi di fare e di
ragionare imperanti oggi va tuttora inghiottito; ciononostante brilla l’invito
di concepire assieme al giovane autore l’intensità scaturita da singoli versi,
omaggiando con completezza una passionalità sempre e solo da mirare.
Gioele sembra costretto a sostenersi con una memoria
vagante, e, non badando alla destinazione, deliziarsi con qualsiasi viaggio,
tanto da sentirsi allegro contemplando un concetto primordiale mentre diventa
leggero giustappunto per sorvolare, assistito animosamente, il pianeta che lo
influenza, che merita troppe pene da infliggere, puntando su di un’aspirazione
purché sia piacevole.
Il tramutarsi in un combattente privabile delle sue sfide
rappresenta d’incanto il sorgere del sole, alla riprova della superficialità di
molti individui che si conservano, non dando adito alla necessità di ulteriori
esperienze di vita, e dunque al riparo dall’estraneità, senza comprendere il
danno letale che si provocano perdendosi in un niente, non volendo pazientare
sensibilmente, accentuando della falsità indiretta per costituirne vanteria.
Eppure ci affermiamo in base a una selezione spontanea, non
vale dire alcuna bugia se non si demorde in concreto.
Inquadrando esclusivamente un fulmine viene meno la sua potenza,
sfruttando della saggezza allusiva per ogni immagine della coscienza, con un
carico d’energia da comportare affianco per misurare il malessere collettivo,
la carenza di verità ridicolizzante il bene immateriale.
Strattonati da menti dolorose, ecco che risuona l’ilarità
per una vista così gagliarda da farla finita.
La dimensione del poeta si rischiara interiormente, come
l’augurio per un buon appetito; ma le soluzioni per riemergere vanno a farsi
benedire perennemente, date delle ambizioni che intensificherebbero dei
dispiaceri con accessori e trucchi alle strette di una negatività sociale che
affonda nell’oltre.
La meraviglia, mai di base, viene immaginata attraverso la
musica del tempo libero, in privato, nell’assenza di prospettive per un
qualsiasi stato dell’anima.
Dall’esterno, ci si aspetta un contributo indispensabile,
materiale, senza dare retta ad alcun rapporto tra la causa e l’effetto; ma
intuendo il pensiero a forza di raccoglierci, per una compatibilità ambientale,
relegante le difficoltà che sono sempre più spigolose, possiamo caratterizzare
il buonsenso apertamente.
Gioele soffre di un sapere sproporzionato, e ciò gli
condiziona unicamente la salute; come anche di un’egemonia spirituale a prova
di scompenso emotivo, nell’intento di essere riconosciuto, col destino segnato,
cioè col dovere di muoversi per non annoiare, di far passare il tempo
amabilmente, consigliando a chiunque di dotarsi di un sogno da esprimere, per
appisolarsi infine tranquillamente, eternamente.
“Se avete in mente
qualcosa che vi tiene svegli, tiratela fuori. Poi addormentarsi sarà più
semplice”.
L’ignoto oscura le confidenze, però arreca la probabilità
d’improvvisare alla grande per una degna alternativa al creato; con
l’impossibilità d’essere felici che comunque serve per maturare appieno, con le
conoscenze che nobilitano ma non ti spingono ad accettare in fondo le scuse in
teoria per aver accennato all’immoralità in pratica.
Gioele non si reputa come lo sbaglio singolare dovendo dare
conto della macelleria sociale, coinvolgente, sentita della cattiveria
nell’individuo, nella questione da porre come una tempesta impetuosa, sempre
insolita, che una goccia di dolore contiene, rimuovibile una volta scrollato un
affetto.
Egli vuole sapere delle conseguenze di un autunno ridondante,
soffocato dalla stupida, preesistente moltitudine, e annebbiato dalla falsità
che quasi sempre ricolloca pazzamente il pensiero, volendo piuttosto
smascherarsi appurato il flop di un film fatto come tanti.
L’impeto vitale si è rotto, è caduto irrimediabilmente per
un incanto qual è riflettersi al microscopio, con l’immobilità da sfruttare per
rialzare lo sguardo al massimo, per quel sollievo che ti sorprenderà con un
tramonto dolce e intenso, da inculcare in vista del maltempo.
La risata consiste nella filosofia scontata, a fronte
dell’offuscamento generato dall’euforia che è solo di rapido consumo, con lo
stato in essere proporzionato per qualcosa che magari non ci riguarda, dove la
compravendita strugge gl’infedeli a priori.
È come se non si fosse più capaci di spiegare lo squarcio di
una nube per effetto di una luce primaria (“Non
sarò mai in grado di descrivere il raggio di sole che attraversa una nuvola”),
pervasi dal mistero, avendolo comparato a un vizio supremo, all’estremo degli
alti & bassi d’umore, tipici del ragazzo che sa il fatto suo,
somministrando al nulla l’eterno, con la solitudine umana, rilevante per
tendere la mano, alla ricerca del nodo spirituale nel buio della miseria che è
davanti a noi oramai, strattonata da curiosi fantasmi; con l’eccezione della
sofferenza che scava nel respiro terreno, per l’avvenire avvincente aldilà di
tutto.
Sono sinuose le paure indeterminate, alluvionate, per
un’attrazione che rileghi la necessità al beneficio, così da immergere il
proprio rammarico nell’odio liquidatosi, e ricominciare di gusto a chiedere
banalmente dei consulti per un senso d’uguaglianza da bersagliare.
Storicamente i fatti hanno portato male a quelli che si
accontentano di sopravvivere, le persone fuori dal comune, di riferimento, non
trovano mai ostacoli per palesare sincerità concretamente, fino alla loro fine.
Si tralascia la propria importanza per sballarsi in
compagnia, e non capire come si è arrivati a ciò, preferendo puntare
sull’irresponsabilità senza complessare alcuna mente.
Per uscire matti Gioele può incorporare una novità
tendenziosa, sfoderando conoscenze, non commestibili ma che servano per non
essere deglutiti dalla visione globale.
Fredde primizie, di una profondità tenebrosa, permettono che
dalla povertà esca fuori il buono di noi, alla faccia di un passato che
sortisce le giuste condizioni infine.
L’illuminazione viene assorbita lentamente, per rimanere con
gli occhi aperti, e coltri di una disperazione ricamata per il bene dei folli,
essendo inconsistenti, abili a sopravvalutarci per le feste dell’immaginario,
di una carne talmente tenera da far nutrire il sentimento che sogniamo quando
per l’intelletto s’è fatto tardi.
La passività è trascinante purtroppo per gli anomali, nel
chiuso del numero 0, nel potenziale da esprimere quando lo si vuole.
“La prigione sta
nell’essere liberi nel più totale e inesistente nulla”.
L’inferno è come se appartenesse all’alba di un’idea avente
inoltre un pubblico privo di stimoli ma irrefrenabile; e chi non crede al
buonsenso in terra caratterizza lo sblocco emotivo altrove.
D’altronde non si perdona la mancata percezione del sacro,
ne siamo particolarmente sicuri per fare in modo che s’incuta terrore, e non
v’è diritto di replica.
L’umanità è alle prese con una forma di tossicodipendenza
ricreativa, la fortuna di non comprendere ogni cosa da innocenti va tutelata
con coraggio, viceversa possiamo aspirare alla custodia di un cimitero a
perdita d’occhio.
Se il tormento cessa, allora si deve dare conto ai resti di
ciò e in un tempo incondizionato, essendo emersi all’apice della fatica
dimensionale, che annienta l’emotività.
“Siamo nati
nell’esplosione di un affanno; come un universo che né si accende né si
spegne”.
Il buon proposito consiste nella razionalità che deve
pervenire, per far sì che un tormento pieno di contenuti sia visibile.
In realtà si scherza, ci si disorienta per via di una
missione di fede, tra strumenti che si muovono da sé, da incoraggiare
concependo la bellezza energicamente, senza che si dia più per scontata la scelleratezza
del senso di trasporto, per armonizzare la frenesia quotidiana, confortati
magari da un saggio fantasma, frutto di una storiella ben narrata alla fine del
manoscritto, ossia dell’immaginario che stringe la mano della memoria plasmante
la ragione in concreto; trattasi cioè dell’entità che sorride all’individuo a
causa del vittimismo tipico dei nostri tempi.
Perché l’esistenza se volge davvero all’eterno allora
inquieta al dir poco, ma arreca la necessità di comprendere il piacere,
variegato, di tenere a bada la propria complessa attività; cosicché svegliarsi
al sorgere del sole, sempre, significa stare bene per andare al massimo, e con
tutti i colori da usare.