Pagina 69 #1

Lettori cari,
ieri sulla community di facebook SCRITTORI E LETTORI FANTASY ho lanciato un’attività prettamente per gli scrittori: si dice infatti che, nell’atto dell’acquisto di un libro, un lettore apre il testo cercando la pagina numero 69. Letta quella pagina sarà in grado di capire se il libro è adatto ai propri gusti, rispecchia le esigenze e via dicendo.
Voi lo avete mai fatto?
Io una volta, o due… finendo poi per acquistare quei libri e rimanendone piacevolmente soddisfatta.
Ho così chiesto alla famiglia di S&LF di lasciarci gli estratti delle loro pagine 69: ecco il risultato!


L’ASCESA DEL POPOLO MALEDETTO
Marco della Mura
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Le sagome cominciarono a correre, il bosco tremava e i volatili volavano via verso l’ovest, i quadrupedi fuggivano dalla foresta terrorizzati, scavalcandosi e scontrandosi senza ritegno in quella folle corsa. Dal limitare del bosco uscì, accompagnando la sua mostruosa entrata in scena con un ruggito che gelò il sangue nelle vene dei difensori, un essere gigantesco dalla pelle albina, alto più di due midelvi uno sull’altro; grandi occhi luminosi posti molto vicino al naso schiacciato, lunghe zanne che gli spuntavano dall’arcata inferiore della bocca, pelato e con lunghe orecchie a punta. Aveva un corpo mastodontico e un bastone chiodato in una mano, indossava solo dei logori pantaloni, e c’erano chiodi infilati in parecchie parti del corpo e del volto. Corse a larghe falcate, sollevando la neve ad ogni schianto e buttandosi in mezzo al gruppo di animali che fuggivano. Menò il bastone nella mischia e ne scaraventò alcuni per aria.

«Perché non fai una cosa da spettro? Così mi convinci» le disse Elia, senza sapere bene perché si fosse incaponito nel volerla fare arrabbiare.

«Come vuoi» rispose lei, fingendo indifferenza. Un attimo dopo si dissolse, lasciandogli vedere il corpo che andava disfacendosi come nebbia. Elia rimase impassibile, ma gli mancò il respiro per un secondo. «Io mi aggiorno sul linguaggio, tu dovresti aggiornarti sugli spettri» gli sussurrò una voce seccata, di cui Elia non capiva la provenienza. «Ho intenzione di seguire tutto il giro tormentandoti con commenti improvvisi e poco opportuni, finché mi odierai. Contento? Non è una bellissima cosa da spettro? Tu sei un esperto di spettri, no? Del resto, vedi le sovrapposizioni della città da un mese, quindi è ovvio che tu sia un grande esperto».

«Maddalena. Ti prego, vorresti unirti a noi in una forma più piacevole?» la interruppe dolcemente Aida. «Devi perdonare Elia. È giovane e sta scoprendo molte cose tutte insieme».

L’ALTRA ANIMA DELLA CITTA’
Francesca Cappelli
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TRE DI SPADE
Andrea Marinucci Foa
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Lui si strinse nelle spalle, assumendo un’aria di forzata modestia. “Così dicono.”

“Tu sei Llana Barcarossa” aggiunse il sacerdote, indicando la giovane piratessa. “E il vostro compare è Morlon l’Aquila. Le altre due migliori lame di Vadhe. Si raccontano molte storie su di voi.”

Llana lo fissò un istante con intensità. “E con questo?”

“Non equivocare, figliola” si affrettò a spiegare l’altro. “Non voglio certo giudicare tre giovani che cercano di farsi strada nella corrotta Vadhe. Tuttavia, vedere tre campioni che capitano nel nostro borgo in un momento di grave difficoltà, mi fa sospettare che ci sia più la mano del destino che quella del caso.”

“Caso o destino, che differenza fa?” chiese Morlon, con un’ombra di sospetto sul viso.

“A questo punto, credo che sia meglio che cominciate la storia della belva dall’inizio” intervenne Bran. “Perché immagino che tra non molto chiederete il nostro aiuto e mi piacerebbe sapere in quali guai mi sto per andare a cacciare con un piccolo anticipo, se possibile.”

Lars sospirò e raccontò gli ultimi eventi: il ritrovamento del corpo di Lester e il responso del veggente.

“E a quel punto, abbiamo chiesto una profezia anche a Hynnat, nel tempio” aggiunse Drannor.

Llana sorrise. “Fammi indovinare: la profezia ti fa pensare proprio a noi.”

“Sì, la profezia dice: anima di zaffiro, smeraldo ed ambra. Gli occhi sono la porta dell’anima, e tu hai occhi di zaffiro, ragazza mia.”

“Già! Io ho gli occhi verdi e Morlon li ha castano chiari, ma si potrebbero definire anche ambrati” intervenne Bran pensieroso. “Questo potrebbe suggerire che siamo coinvolti in qualche modo, ma non ci dice nulla sul ruolo che dovremmo recitare.”

Drannor sembrava concentrato. “Tre di spade, tre assi di picche…”

Gropello annuì. Finì di masticare con calma il suo biscotto, poi si protese in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le mani.

«L’assedio va avanti da quasi due mesi e Torino comincia a soffrirne

la stretta. Le bombe cadono sulle case e ammazzano, feriscono, storpiano. Se i torinesi non si arrendono, la Fojada concederà alle sue truppe quattro giorni di libero saccheggio, e in quel caso la gente rimpiangerà le bombe di oggi.»

Gustìn si limitò a fare un cenno d’assenso. Sapeva già che se Torino

fosse caduta avrebbe dovuto trovare una buona via di fuga o, in alternativa, un rifugio abbastanza sicuro per un tempo abbastanza lungo.

«Per adesso i torinesi rimangono tranquilli malgrado la minaccia»

continuò Gropello. «E questo grazie a qualcosa che voi non conoscete.»

«La paura?» chiese Gustìn, ma senza convinzione.

«La Fede», rispose Gropello. «Nel Duca, certo, ma specialmente in Dio. I torinesi sono tranquilli perché sono convinti che Dio sia dalla nostra parte.»

Gustìn sbuffò. Chissà se Dio, in quel momento, stava pesando le preghiere di Torino e di Parigi su due piatti di una bilancia per decidere a chi concedere il favore della vittoria?

«Non è importante che ci crediate voi, o io» ringhiò Gropello. «È

importante che ci creda il popolo. Finché il popolo sarà convinto che

Dio e i Santi sono dalla nostra parte non ci darà problemi. Quindi deve

continuare a esserne convinto.»

«Monsignore, sono la persona meno adatta con cui intavolare una

disputa teologica.»

«Come se non lo sapessi» commentò il Conte con una voce che poteva quasi sembrare ironica. «Quando la paura è grande si fa presto a parlare di miracoli, ma anche di stregonerie. Certo sapete che Sua Altezza Reale ha allontanato da Torino, insieme alla sua famiglia, anche la Sacra Sindone.»

«Molto saggio, da parte sua.»

«Ne convengo.»

Gustìn si riferiva alla famiglia del Duca, naturalmente, non alla Sindone, il che non era proprio la stessa cosa a cui pensava Gropello.

LA CITTA’ DELL’ASSEDIO
Luca Buggio
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PER LA CORONA D’ACCIAIO
Marco Rubboli
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“Vindice scoprì i denti in un sorriso da lupo. «Sono al corrente di più cose di quante tu non sospetti. Per esempio, so che Re Tiberio aveva cercato di ingaggiare voi per rapire Rugiada di Gransequoia… ma che non avete accettato.»

Rinaldo si arrese con un sospiro. «E va bene! Il vecchio aveva paura di entrare in qualcosa di più grande di lui e ha preferito lasciar perdere. Neanche a me piaceva quella storia. Non abbiamo mai rapito nessuno, non cominceremo certo adesso! Non ne abbiamo bisogno. Lavoriamo solo con professioniste di alto livello, lo sai. Però il Re non l’ha presa bene e ci ha minacciato di rivolgersi ad altri per la corte. Che poi non vedo a chi possa rivolgersi che abbia un’organizzazione come la nostra, quindi penso che fossero minacce a vuoto. Anche perché finora non è cambiato nulla e le richieste continuano ad arrivare. E questo è tutto.»

«Rinaldo» lo ammonì allegramente Vindice, «lo sai che di me ti puoi fidare. Per gli Dei, ma siamo amici o no? Ho mai detto in giro quello che mi raccontavi? Eppure ce n’era abbastanza da far crollare le pareti della corte e far scompisciare dalle risate un’intera piazza.»

«Già» sbuffò Rinaldo, «e poi tanto sei troppo astuto per nasconderti qualcosa. Lo scopriresti lo stesso, in un modo o nell’altro. Magari mettendoti nei guai mentre lo scopri… o peggio: mettendo nei guai me!»

Vindice annuì, protendendosi in avanti con fare cospiratorio. Si stava divertendo molto, non c’era dubbio.

«Però acqua in bocca!» gli scoccò un’occhiataccia Rinaldo. «Questa volta ancora di più che in passato. Se si venisse a sapere il vero motivo della guerra, non so neanche immaginare quali sarebbero le conseguenze. Questi non sono pettegolezzi qualunque: qui per una cosa veramente stupida è in gioco il destino del Regno. E dicendotelo ti metto in pericolo. In serio pericolo! Vuoi saperlo lo stesso?» Vindice sorrise. «Più che mai.»”

Si tolse gli occhiali e potei finalmente vedere i suoi occhi, due micidiali schegge di ghiaccio verde con la pupilla obliqua da serpente. Prima che potessi riavermi dallo shock e dalla paura, sguainò i canini e la ebbi addosso. Urlai e tentai di resistere con tutto me stesso, ma la sua forza era spaventosa. Mi sentivo come un bambino alle prese con un gigante.

I suoi denti penetrarono nella carne tenera del mio collo, su un lato; non fu il dolore a farmi gridare di nuovo, quanto la sorpresa per quell’attacco inaspettato.

Le sue mani mi bloccavano le braccia, me le inchiodavano per i polsi contro la testiera del letto; era montata a cavalcioni su di me e non c’era niente che potessi fare. A poco a poco le forze presero a scivolarmi via, assieme al sangue; la mia resistenza si fece sempre più blanda, mentre i contorni delle cose intorno a me perdevano nitidezza. Non importava, andava bene così, in fondo. Una mezza vita, quella da storpio, non faceva per me. Quando stavo per perdere i sensi, col cuore che batteva in modo sempre più lento e scoordinato, lei si staccò da me, ansimante, e mi fissò, grondando sangue dalla bocca socchiusa.

RVH – ASCESA DALLE TENEBRE
Lucia Guglielminetti
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CUORE DI PIETRA – LE MUTAZIONI
Antonello Venditti
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Guardò i volti degli altri bambini, facce senza maschera, pallide, bambini nati a Sŏlum, una gioventù identica alla sua. I piccoli concilianti riafferrarono la sfera lanciata da Sitya e rimasero a fissarla imbambolati. Tutti si giravano a guardarla e lei cominciò a sentirsi diversa, fuori luogo.

«Non impensierirti. Non hanno mai visto un abitante della Terra di Sopra» disse il conciliante. «Nella tua terra pensano tutti che sotto la torre ci siano solo fogne e mostri riluttanti, che si fanno schiavizzare dagli Interni e dagli Esterni. Ma come vedi, non è così.»

«Perché continuate a rifugiarvi allora? Non meritate di vedere il sole?» Pensò agli abitanti e a tutto quello che girava intorno al popolo dei concilianti, costretto a essere additato e maltrattato. «Con ciò non voglio dire che qui sia brutto. Sembra di

stare sulla superficie» gli occhi del conciliante scintillarono, «e meritate più rispetto e libertà.»

«Noi abbiamo scelto, piccola principessa. Sŏlum non è un’altra terra, non è un altro posto. Sŏlum è un mondo, il nostro mondo.» Continuavano a camminare lungo un viale lastricato di pietre scure e lui continuò a dire: «La bellezza conosce le facili assoluzioni e si differenzia da tutto ciò che può essere cattivo. La deformità, invece, conduce sempre alla colpevolezza, porta gli altri a vedere il brutto anche nelle tue ossa, il cattivo nel tuo cuore e il nero nella tua anima. Pensano tutti che una persona brutta debba avere per forza un cuore di pietra».

«Veniamo a prenderla a Clonakilty, fra quanto arrivate?» chiese Ciarly, non appena l’uomo ebbe finito di parlare. «Va bene, partiamo subito. Saremo già lì al vostro arrivo. Per qualsiasi cosa può rintracciarmi a questo numero» scambiò un frettoloso saluto con il capotreno e interruppe la chiamata. I suoi si erano già alzati e Ciarly non dovette far altro che infilarsi giacca e sciarpa e correre alla macchina.

La campagna sfrecciò intorno a loro, rivelata per un istante dai fari dell’auto e inghiottita dall’oscurità al loro passaggio. Ciarly non credeva di avere mai visto il padre guidare a quella velocità. Rallentò solo quando attraversarono il paese, ma solo per evitare d’investire qualcuno, anche se a quell’ora era improbabile. Nella macchina la tensione era alle stelle e Dario premette di nuovo, con decisione, il piede sull’acceleratore non appena furono fuori dal paese.

La stazione era appena fuori dall’abitato, ma a Ciarly il viaggio sembrava eterno e il fatto che la mamma non riuscisse a contattare gli zii non faceva che aumentare l’agitazione generale. Alla fine fu il cellulare del padre a suonare e Ciarly lo afferrò dal vano portaoggetti, dietro la leva del cambio. «Dario, Kim vi ha chiamato?» chiese la voce allarmata di zio Mark.

«Stiamo andando a prenderla alla stazione. Piuttosto, voi come avete fatto a non accorgervi che era uscita di casa?» sbottò Ciarly, rabbrividendo al pensiero di tutti i pericoli che aveva corso Kim durante il percorso da casa sua alla stazione.

«Ciarly!» la rimproverò la mamma, ma zio Mark non sembrò nemmeno accorgersi della strigliata della nipote.

«Stazione? Quale stazione? Kim ha preso il treno da sola?» chiese esterrefatto zio Mark.

«Sì, mentre voi eravate impegnati a litigare» sbottò prima che la madre le prendesse il telefono.

«Mark» disse, iniziando una concitata conversazione con lo zio.

In sottofondo Ciarly poteva udire la voce sempre più alterata di zia Melissa.

«Ecco bravi, litigate di nuovo. Come se servisse a qualcosa» sbuffò Ciarly, fissando ansiosa il paesaggio circostante. Si precipitò fuori dalla macchina non appena il padre parcheggiò nel cortile della stazione.

«Ciarly» la richiamò Dario, inutilmente, mentre lei correva come una freccia all’interno del piccolo edificio. Nulla di più di una sala d’attesa, una biglietteria e un servizio igienico che si affacciavano sull’unico binario. «È inutile correre, devono ancora arrivare» le disse Tara, raggiungendola. Ciarly fissava l’oscurità della notte oltre la pallida zona di luce creata dai lampioni e non sembrava averla udita. Il fiato usciva dalle sue labbra in respiri irregolari, formando cristalline nubi di vapore acqueo nella gelida notte invernale.

CIARLI E LE DODICI ERE
Emanuela Scotti
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IO SONO NIENTE
Laura Radiconcini
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Faccio lo stesso con le braccia e le gambe. Gli aspri suoni dei duri tessuti che si lacerano mi riempiono di gioia. Noto che un liquido scuro cola dalle ferite. Con distaccato interesse vedo anche che i pezzi del suo corpo caduti a terra stanno cercano di avvicinarsi l’un l’altro, molto lentamente. No, così non va bene. Raccolgo la testa di Damon e la porto con me su per la collina, lasciandola cadere sotto un cespuglio vicino alla casa.

Mi avvicino cautamente. Guido è sulla soglia. Non sa bene che cosa sia successo, ma avverte il pericolo. Quando mi vede, si raccoglie in posizione difensiva e digrigna i denti, pronto a combattere. Sono pronto anch’io.

Stavolta non potrò contare sull’effetto sorpresa, come con Damon, ma ho un altro vantaggio: gli leggo la mente, prevedo le sue mosse. Non appena fa un balzo cercando di prendermi, io scarto di lato e lui afferra il vuoto. Tra finte e attacchi cerco di capire qual è il suo punto vulnerabile. Ma certo, un vampiro maschio è sempre maschio, no? Aspetto la sua prossima mossa, che va a vuoto come le altre, e gli sferro un calcio all’inguine. Si piega in due dal dolore e ne approfitto per afferrargli un braccio e strapparglielo via. Ora è mutilato e non può più combattere efficacemente. Gli stacco anche l’altro braccio. Vorrebbe scappare, ma lo tengo stretto e in breve tempo lo finisco. Ora devo concentrarmi. Prendo la sua testa e la metto in cucina, poi vado nella camera dove giacciono i due cadaveri e cerco una coperta. Corro giù per la discesa e vi avvolgo dentro i pezzi del corpo di Damon, facendone un fagotto. Poi mi carico in spalla il corpo del contadino e risalgo, recuperando la testa di Damon dal cespuglio dove l’avevo lasciata cadere.

IL FIGLIO DEL TEMPORALE
Neith Archer
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BANANA? BANANA! vol 2.
Chiaretta e Bon
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VISCERE
Marco Palumbo
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ROMANICOMIO: STORIE DI FIGLI, DI PENSIERI, DI PAPA’
Vincenzo Romano
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CODICE ALPHA
Maria Carla Mantovani
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