The Other Side of Disney #2 – Cenerentola

Lettori, ben trovati!

La rubrica dedicata al mondo Disney è partita: QUI trovate la prima puntata, se ve la siete persa.

Oggi il nostro esperto dottor Ferretti ci accompagna nel meraviglioso mondo di CENERENTOLA: buona lettura!

Articolo a cura di P.A. Ferretti

La principessa cui ci dedicheremo oggi non ha bisogno di presentazioni: tutti conoscono la fiaba, e ancora di più conoscono la versione che la Disney ha reso non solo famosa, ma praticamente la versione “ufficiale” della storia.

E proprio com’era il caso per Biancaneve, il passare del tempo e i cambiamenti nella mentalità della società hanno fatto emergere critiche e discussioni a non finire riguardo il personaggio titolare.

La domanda è: sono meritate?


Cenerentola

Le critiche ricevute da questa particolare principessa non differiscono molto da quelle che già abbiamo incontrato con Biancaneve: passività, mancanza di personalità ed estrema dipendenza da una figura maschile per riscattarsi. La cosa non sorprende, considerato che, almeno a un livello di superficie, le due figure paiono somigliarsi molto; ciò dipende forse anche dal fatto che i film in sé sono molto simili nell’impianto fiabesco, nei toni, nelle atmosfere e nella struttura narrativa con tutti i topoi e stereotipi che uno spettatore moderno associa alla Disney “classica” (i cattivi cattivi, le spalle comiche piccole e carine, le canzoni, i toni positivi e apparentemente disimpegnati).

Tant’è vero che lo stesso Walt Disney arrivò a considerare “Cenerentola” (1950) una sorta di remake di “Biancaneve e i sette nani” (1937), un modo per imbonire il pubblico ed ottenere un successo facile in un momento in cui lo studio rischiava la bancarotta.

Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia, e non è per questo che siamo qui.

Ciò che ci interessa è analizzare la figura della protagonista, Cenerentola, e vedere se le critiche nei suoi confronti reggono. E in effetti, a una prima osservazione alcune similarità balzano all’occhio: ancora una volta, abbiamo a che fare con una lavoratrice, come Biancaneve, anche Cenerentola lavora dalla mattina alla sera 365 giorni all’anno festivi inclusi, ma la differenza fondamentale è che Cenerentola è chiaramente infelice della propria situazione.

C’è una sottile corrente di frustrazione ed esasperazione che di tanto in tanto fanno capolino nella facciata altrimenti quieta e remissiva, per non parlare dell’occasionale commento pungente (“Mattina, pomeriggio e sera”, o il sarcastico appellativo “Maestà” rivolto al gatto Lucifero), il che è del tutto naturale: il film ci fa sapere fin dall’inizio che questa è stata la sua vita fin dall’infanzia, che per anni è stata costretta a spezzarsi la schiena ogni giorno e a vivere da schiava nella propria casa. E il fatto che, nonostante tutto, sia riuscita a sopravvivere sia fisicamente che mentalmente a un tale supplizio, ci dice un altro paio di cose.

Ad esempio, è perseverante: imprigionata com’è in uno stile di vita che ogni giorno la porta vicina all’esaurimento, cerca in ogni caso di mantenersi, se non allegra, almeno ottimista. Cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto, di pensare che le cose, prima o poi, possano migliorare, non necessariamente perché ci creda fino in fondo (anche se un briciolo di genuina speranza c’è sempre), ma anche perché è l’unico mezzo per non avere un crollo nervoso e precipitare nella depressione più totale. E’ un ottimismo forzato, un meccanismo di difesa contro una disperazione che è sempre in agguato e pronta a prendere il sopravvento.

Inoltre, Cenerentola ha i suoi limiti: quando le cose vanno storte, mostra chiari segni di impazienza, come quando Lucifero sparpaglia per tutto l’atrio la polvere raccolta. E ovviamente, non si può dimenticare la scena madre della vera e propria “profanazione” del vestito, uno dei momenti psicologicamente più intensi mai partoriti dalla Disney, reso ancora più efficace e disturbante dalla sua rapidità.

Tutto nell’atteggiamento di Cenerentola è testimone di una dolorosa e profonda consapevolezza della miseria della propria condizione, e la rende dunque ben lontana dallo stereotipo della principessa frivola, sorridente e un po’ oca con cui molti oggi si ha l’impressione che la ricordino. A differenza del remake, dove è proprio così che l’hanno resa.

Ma a questo punto, molti di voi si staranno chiedendo il motivo di tutto ciò: perché sopportare questa tortura, perché ostinarsi a rimanere in casa anziché scappare o ribellarsi?
La risposta è semplice:

  • Primo, nel prologo viene stabilito che il padre di Cenerentola è morto quando lei era ancora bambina, il che vuol dire che la matrigna e le sorellastre hanno iniziato a obbligare la ragazza al lavoro servile già in tenera età. In altre parole, l’hanno condizionata psicologicamente, tra l’altro tenendola in casa ogni giorno e impedendo un suo qualsiasi contatto con il mondo esterno; di conseguenza, è ovvio che non le venga in mente di scappare, e che l’unico modo di sopravvivere è resistere.
  • Secondo, se anche scappasse, dove andrebbe? Non ha amici o altri parenti, e chiunque incontrasse per strada la rimanderebbe dritto filato a casa anziché cercare di aiutarla, tanto più che il sottile abuso casalingo cui Cenerentola è soggetta non costituirebbe per nessuno un valido motivo di sdegno: dal punto di vista di un estraneo, Cenerentola sarebbe solo una servetta la cui fuga rappresenta un mero atto di disobbedienza verso la padrona.

Terzo e ultimo motivo, che vale retroattivamente anche per Biancaneve: la libertà individuale che conosciamo oggi, nella società dell’epoca era un concetto totalmente estraneo, in special modo per quanto riguarda le donne. Perciò, nessuno, né uomo, né donna avrebbe mai pensato di ribellarsi attivamente a un tipo di gerarchia familiare che era, fondamentalmente, la norma. Nelle condizioni di vita di quei tempi, un tentativo di ribellione avrebbe avuto più possibilità di fallire miseramente, e magari peggiorare ancora la situazione, piuttosto che di portare ai risultati sperati.

Tra l’altro, per una volta il principe non ha alcun ruolo nel “salvataggio” della principessa: non appena Cenerentola rimane chiusa nella torre, è lei a cercare in ogni modo di uscirne, per quanto le sia possibile, e quando arriva Lucifero per mangiarsi i topi con le chiavi, è lei a far chiamare subito il cane Tobia. Dunque, per quanto glielo permetta l’ambiente fisico e sociale, lei è effettivamente attiva.

Questo ci porta a un’altra similarità con Biancaneve, ossia l’affinità con gli animali, con i quali Cenerentola riesce a comunicare senza problemi; anche qui si possono fare delle considerazioni di natura metaforica o psicologica. Ad esempio, è un modo per enfatizzare la solitudine di cui soffre la protagonista, relegata com’è ad alloggiare nelle stanze più alte, remote e malmesse della casa, e senza uno sbocco verso la gente del mondo esterno è inevitabile che gli animali domestici diventino i suoi unici amici.

Ma ancora più affascinante è l’idea che, come per Biancaneve, gli animali vengano influenzati in modo positivo dall’animo benevolo della protagonista a comunicare con lei; l’idea che una buona predisposizione d’animo riesca a metterci in sintonia non solo con le altre persone, ma anche con tutto il mondo e le forme di vita che ci circondano, un concetto fortemente metaforico e soggetto ad interpretazioni personali.

L’ultimo punto riguarda la fata madrina, che ci si creda o no, un altro argomento di discussione: come già accennato nell’articolo precedente, tutto in una fiaba è allegoria, per cui è triste e strano vedere persone prendere certi particolari come, appunto, la fata madrina, alla lettera.

Non ha senso chiedersi come mai lei aspetti così tanti anni prima di farsi viva ed offrire a Cenerentola una possibilità, perché non sia apparsa prima o altre domande simili: non è questo il punto. Ancora una volta, la fata madrina rappresenta allegoricamente la ricompensa per le buone qualità della protagonista (forza d’animo e perseveranza soprattutto), e la sua presenza non è assolutamente da leggere in maniera letterale: questa non è la realtà, dunque non valgono le stesse regole della vita reale.

Sono proprio queste distorsioni e questa mancanza di spirito d’interpretazione che hanno permesso al messaggio della fiaba di venir travisato e malinteso: quello che è, in fondo, un messaggio sui vantaggi della forza d’animo e della perseveranza è diventato, nella coscienza collettiva, l’ennesima variante della donna debole in attesa di un uomo che la salvi. E questo è forse l’aspetto più tragico di tutti.

CURIOSITA’

  • Nel processo dell’animazione, ma diciamo anche della realizzazione di un film in generale, una cosa tira l’altra: Walt Disney aveva deciso di rivolgersi alla più popolare industria musicale degli Usa in quegli anni, Tin Pan Alley, perché si occupasse della colonna sonora del film. Quando il trio di compositori Mack David, Jerry Livingston e Al Hoffman fece ascoltare a Disney i demo delle loro canzoni, Walt rimase subito affascinato dalla voce della cantante, una tale Ilene Woods, una vecchia conoscenza degli autori, e decise di scritturarla per la parte di Cenerentola.
  • L’aspetto e le animazioni di Cenerentola si devono alla supervisione di due fuoriclasse dell’animazione, entrambi appartenenti al gruppo di animatori veterani noti come i “Nine Old Men: il primo era Marc Davis, futuro animatore di Malefica e Crudelia De Mon, che voleva un personaggio sofisticato e dalla forte personalità; il secondo era Eric Larson, che al termine della sua carriera si sarebbe occupato di addestrare la nuova generazione di animatori, e invece si immaginava Cenerentola come personaggio più “alla mano”. Il risultato fu un ideale compromesso fra i due punti di vista.

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