The Other Side of Disney #12 – Anna & Elsa

a cura di P.A. Ferretti

Amici Lettori,

dopo un’attesa più lunga del solito, è ora di tornare a immergerci nel mondo delle eroine Disney; la puntata di oggi è speciale per più di un motivo. Primo, perché tratta di personaggi la cui fama e popolarità presso il grande pubblico rivaleggia con le figure ormai iconiche del Rinascimento e in generale della Disney che fu, cosa più unica che rara al giorno d’oggi. Secondo, come già avrete intuito dall’uso del plurale e dal titolo del post, non si tratta di un solo personaggio, ma di due.

Anna & Elsa

Ammetto che è uno strappo alla regola, ma necessario in questo caso: è impossibile parlare di una senza parlare anche dell’altra, visto il modo in cui i rispettivi archi narrativi si intrecciano fin quasi a essere complementari l’uno all’altro.

E questo è già di per sé un elemento degno di nota: per la prima volta in una fiaba Disney, ci sono due personaggi a condividere equamente lo status di protagonisti. In precedenti storie, dove il rapporto romantico copriva un ruolo centrale, uno dei due finiva sempre e inesorabilmente per fare da spalla o finire un po’ più in secondo piano: Jasmine era ben sviluppata, ma quella rimaneva nonostante tutto la storia di Aladdin; Naveen imparava qualcosa da Tiana insegnandola qualcosa a sua volta, ma il fulcro della storia ruotava comunque sulla cameriera e futura principessa.

Qui invece no: Anna ed Elsa sono entrambe indiscutibilmente protagoniste, entrambe sullo stesso livello di importanza e non si tratta di un caso. Questo è, infatti, il secondo elemento degno di nota: Anna ed Elsa sono sorelle. Non è certo la prima volta che le protagoniste di un film Disney hanno questo specifico rapporto familiare (basti pensare a Lilo e Nani in “Lilo & Stitch”), ma qui le dinamiche fra le due non solo sono diverse a causa della minore differenza d’età, ma anche perché la natura del loro rapporto diventa il fulcro tematico della vicenda. La situazione di crisi viene infatti risolta sì dall’amore, ma non quello romantico: è l’amore tra sorelle, l’amore familiare, la chiave per riportare l’ordine e l’equilibrio.

Sulla carta, quest’idea funziona: abbiamo infatti due sorelle in cui una è l’opposta dell’altra. Anna è un’ingenua, allegra ed espansiva esplosione d’energia incontenibile, mentre Elsa, costretta da un duo di parenti dalla moralità e intelligenza alquanto discutibile a stare rinchiusa in una torre per tutta l’infanzia e l’adolescenza, è un’introversa asociale e complessata, insicura di sé e terrorizzata dai propri poteri, il che non fa che peggiorare una situazione già seria di suo. Questo basta e avanza non solo a distinguere le due sorelle, ma anche a creare una certa tensione nel rapporto fra le due, che da bambine andavano d’amore e d’accordo e ora invece si scoprono delle estranee, radicalmente diverse da come si ricordavano. E crea anche un ideale percorso per entrambe, che nel corso della vicenda si vedrebbero costrette a fare i conti con ciò che sono diventate e ad accettarsi non per quello che vorrebbero che fossero, ma per quello che effettivamente sono.

Inizialmente la cosa viene anche rappresentata bene: c’è l’incertezza nel riavvicinarsi dopo anni di separazione, c’è una momentanea intesa (entrambe riconoscono l’odore di cioccolato, che evidentemente adorano) e un successivo, relativo rilassamento; eppure si ha sempre la sensazione che da parte di Elsa ci sia una relativa riluttanza ad abbassare la guardia. E’ un momento breve ma ben eseguito, che si sviluppa con naturalezza e senza forzature e aiuta a mettere in risalto le diverse caratteristiche delle due sorelle.

I problemi sorgono purtroppo andando avanti nella narrazione, e potrò illustrarli più chiaramente analizzando i due personaggi in singolo.

ELSA

Per quanto riguarda Elsa, le idee alla base del suo arco narrativo sono solide (e non mi riferisco al fatto che è la prima principessa Disney ad essere una regina): infatti lei perde sempre più il controllo dei propri poteri e scopre l’unico conforto nella fuga e nell’isolamento, finché non sarà costretta a tornare indietro e trovare nel rapporto con la sorella il catalizzatore ideale per trovare la necessaria “stabilità emotiva”: ossia imparare di nuovo a relazionarsi con altri e a fidarsi un po’ più degli altri, e a usare quella fiducia e quell’affetto come ancora emotiva per tenere i propri poteri sotto controllo.

Il primo problema è che l’evento che porta Elsa alla fuga viene gestito male: dovrebbe trattarsi di un momento di rottura fra lei e Anna, ma il motivo che porta a questa rottura è espresso in modo confuso e inconsistente con quanto avvenuto prima. Il litigio, che in teoria dovrebbe venire dal sopra citato senso di estraneità reciproca, viene invece scatenato dalla decisione di Elsa di non permettere ad Anna di sposarsi con “uno sconosciuto”, il che porta a un battibecco in cui Anna, per motivi ignoti, rinfaccia a Elsa di saper solo chiudersi a riccio ed escludere gli altri dalla propria vita. Un’accusa totalmente infondata visto che Anna sa benissimo che sono stati i genitori a tenere Elsa rinchiusa nella camera e non è stata una decisione della sorella. Quel che poteva essere una scena emotivamente forte viene rovinata da una scrittura superficiale a cui importa solo mettere Elsa sotto pressione, senza curarsi del come.

Comunque, questo porta Elsa a svelare i propri poteri, causando panico e spingendola a fuggire; ed è qui che avviene il momento dell’illuminazione, il momento in cui Elsa riesce finalmente ad accettarsi per quello che è, ad abbracciare i suoi poteri e ciò che ne consegue, a “lasciar andare” le sue paure, illustrato dalla canzone “Let it go”. Se non che, non appena ricompare Anna lei precipita di nuovo nel suo stato di paura costante dei propri poteri e di ciò che possono fare, e di rifiuto di tornare nella società per via di quello che pensano di lei. Il che rende la canzone totalmente inutile: doveva rappresentare un momento di crescita, ma dieci minuti dopo il personaggio si comporta come se quella crescita non sia mai avvenuta. Certo, il testo della canzone suggerisce che Elsa sia in grado di trovare il controllo necessario proprio grazie allo stato di isolamento, ma questo crea comunque un’incoerenza, visto che Elsa afferma di essere incapace di annullare il clima gelido che sta fagocitando tutta Arendelle. Una cosa assurda, visto che poche scene prima era in grado di controllare neve e ghiaccio come se niente fosse. Anche in seguito, i suoi poteri prima all’apice dell’efficacia risultano del tutto inutili contro un manipolo di soldati venuti a catturarla, o anche solo per liberarsi dalle catene.

Per ultimo, il momento della catarsi: l’ideale conclusione dell’arco di Elsa dovrebbe essere il ricongiungimento emotivo con Anna e la scoperta che il risanamento di questa ferita porta a un maggiore controllo sui suoi poteri. L’amore tra sorelle che risolve la crisi. Quest’idea viene però portata avanti solo in parte, con l’introduzione della sotto-trama del progressivo congelamento di Anna. Così, il rapporto fra le sorelle viene messo in secondo piano a favore di una corsa contro il tempo, un cattivo dell’ultimo momento e un maldestro tentativo di dare maggior grandezza alla vicenda. Da parte di Elsa non c’è alcuna realizzazione di aver bisogno di Anna, né il sacrificio di quest’ultima per la sorella sembra avere un qualche effetto su Elsa da quel punto di vista. L’amore fra sorelle diventa così, da qualcosa di un po’ più metaforico e trascendentale, un elemento più superficiale, un escamotage per rompere un incantesimo anziché la chiave per sanare la ferita emotiva del personaggio.

Un’ultima nota su Elsa riguarda la sua caratterizzazione in senso stretto, che vista la natura complessata del personaggio mette da parte l’approccio in stile commedia romantica usato per Rapunzel e sceglie invece un modo più “classicheggiante”. Il suo è un personaggio solenne e a suo modo tragico, per quanto la scrittura inconsistente spesso finisca per sminuire il risultato finale.

ANNA

Il principale problema del suo personaggio è che il suo arco narrativo è, di fatto, totalmente scollegato da quello di Elsa. Sebbene il desiderio di stare con lei e una sensazione di tradimento per essere stata separata da lei tanto a lungo sia presente, nel corso della storia ci si concentra maggiormente sulla tendenza di Anna ad essere ingenua, idealista ed eccessivamente fiduciosa degli altri, il che la rende cieca alla vera natura di un certo principe decimo nella linea di successione. Pur non trattandosi di un arco pessimo, manca purtroppo quel qualcosa in più che avrebbe dato al rapporto fra le due sorelle maggior risonanza, impedendogli così di cadere tanto spesso in secondo piano come invece accade.

Fin dall’inizio è possibile riscontrare alcune note fuori posto nel modo in cui la figura di Anna viene delineata: il giorno dell’incoronazione ufficiale di Elsa, infatti, Anna è tutta felice e gioiosa come una Pasqua perché finalmente le porte del castello sono state aperte e lei può finalmente uscire, entrare in contatto con la gente e così via. Il problema è questo: era Elsa a non dover assolutamente uscire dalle proprie stanze. Anna era libera di andare dove voleva dentro e fuori dal palazzo e mai una sola volta il film da indicazioni del contrario, dunque perché non lo ha fatto? Probabile che fosse troppo impegnata a stare davanti alla porta chiusa della stanza di Elsa ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, a chiederle se voleva costruire un pupazzo di neve, ma è difficile crederlo. Inoltre, nella stessa sequenza le priorità di Anna sembrano cambiare in continuazione: prima vuole stare con la sorella, poi vuole uscire e conoscere gente, poi vuole trovare l’uomo ideale, poi di nuovo stare con la sorella… senza neanche curarsi del fatto che almeno due o tre di questi obiettivi non sono compatibili l’uno con l’altro. Tant’è vero che Anna non contempla neppure l’idea che sposarsi potrebbe significare lasciare il palazzo, lasciare Arendelle e andare altrove, rendendo la sua ingenuità molto più simile a pura stupidità.

Il modo in cui il film tenta di rendere l’amore fra sorelle il fulcro tematico della vicenda al posto dell’amore romantico a spinto molti a vedere in Anna ed Elsa un punto di svolta nelle principesse Disney, le prime ad essersi affrancate completamente dai “difetti” delle precedenti e ad essere del tutto emancipate, indipendenti dal sostegno dell’uomo e così via; questa cosa si vede soprattutto con Anna, che fra le due è quella a innamorarsi e a seguire, superficialmente parlando, il modello delle principesse passate. In più di un punto si solleva un gran polverone sul fatto che Anna si sia innamorata di un altro nel giro di pochi minuti, criticandolo aspramente e indicandone l’assurdità.

Ci sono dei problemi con quest’asserzione: infatti, com’è ormai di moda oggi, ci si dimentica di considerare che le fiabe, in quanto forma di narrazione fortemente allegorica, tende a comprimere lunghi periodi di tempo in poche frasi e a fare iperboli per rendere certi suoi elementi più semplici e diretti da capire. Pochi minuti nelle fiabe sono un’allegoria per descrivere il passaggio di un tempo più lungo, e se anche corrispondevano sul serio a pochi minuti, si trattava comunque di un tipo di narrazione idealizzata, che intenzionalmente non intendeva essere fedele alla realtà del nostro mondo; quindi, la critica non è valida. Inoltre, questa critica non impedisce ad Anna di innamorarsi di Kristoff in appena due giorni, riutilizzando lo stesso cliché che prima veniva deriso. E non rende un gran servizio al personaggio in sé, che così, romanticamente parlando non riesce ad imporsi in maniera originale rispetto alle altre. Forse solo in negativo, considerando che la persona di cui si è innamorata per prima si rivela essere il cattivo e il fatto che il ben più affidabile venditore di ghiaccio abbia gettato gli occhi su di lei le dev’essere spiegato da un pupazzo di neve. Insomma, la storia non da molte occasioni ad Anna di sfoggiare una particolare intelligenza, anche perché a dispetto delle dichiarazioni sull’emancipazione, dalle situazioni di pericolo viene sempre salvata da qualcun altro, che si tratti di Olaf o Kristoff.

Sulla caratterizzazione di Anna, viene qui ulteriormente sviluppata e portata all’estremo l’influenza delle commedie romantiche alla Judd Apatow, già vista in Rapunzel e ideale contrapposizione all’impostazione “classica” di Elsa. Al contrario di lei, in Anna sono ben evidenti la natura impacciata, svampita e da “ragazza della porta accanto” che tanta fortuna aveva fatto al cinema nel decennio precedente. Come in Rapunzel, questi elementi vengono mescolati ai tratti della principessa “classica”, come bontà, determinazione e via dicendo, continuando così a ergersi sulle spalle dei giganti.

Se con Tiana e Rapunzel c’era una mescolanza di vecchio e nuovo, qui si ha un tentativo molto più spinto di eliminare del tutto il vecchio e procedere in una nuova direzione; tentativo purtroppo penalizzato da una scrittura povera, una mancanza di organizzazione di idee e una certa confusione su quale aspetto mettere in maggior risalto. 

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