Cari Dreamers,
ben ritrovati ad un nuovo appuntamento domenicale con la rubrica dedicata al meraviglioso mondo di Walt Disney: oggi il nostro amato P.A. Ferretti ci avvicina al personaggio della Sirenetta Ariel, la cui interpretazione disneyana è molto differente da quella delle fiabe originarie…
Scopriamolo insieme!
Articolo a cura di P.A. Ferretti
Un deciso balzo in avanti separa l’arrivo sul grande schermo della principessa Aurora da quello del suo diretto successore, dovuto in larga parte dall’insuccesso della pellicola che spinge la Disney a mettere da parte il genere delle fiabe per i trent’anni seguenti.
Quando alla fine si rimette mano al genere, molte cose sono cambiate: l’ambiente cinematografico, quello sociale, il modo di fare film e di concepirli, e ultimo ma non meno importante, gli artisti, registi e sceneggiatori del reparto animazione sono stati tutti sostituiti da nuove giovani leve.
Tutto ciò ha senz’altro contribuito ad operare la repentina evoluzione rappresentata dall’esordio della sirenetta ispirata alla protagonista della fiaba di Hans Christian Andersen.
Con lei arriva non solo il nuovo cinema Disney, ma anche un nuovo tipo di principessa.
Ariel
Ariel rappresenta la prima delle “nuove” principesse, la prima del cosiddetto Rinascimento Disney, e come tale si può considerare, insieme a Belle, lo stampo su cui sono state modellate tutte quelle venute in seguito.
Già all’epoca la critica notò positivamente il carattere più realistico di Ariel e il suo ruolo più attivo nel corso della storia, ma come al solito anche in questo caso, col passare del tempo, hanno iniziato a spuntare fuori le lamentele.
La prima critica è una certa superficialità insita nel personaggio, simboleggiato in particolare dal fatto che il motivo principale delle azioni di Ariel nel corso del film si riduce alla mera “conquista” del principe: in altre parole, la ragazza sarebbe succube dell’amore per un uomo e dunque metterebbe in moto una catena di eventi quasi catastrofica solo per una cotta. Da una parte, non è del tutto falso, ma non è neanche lontanamente l’unico motivo. Già prima di incontrare il principe Eric, Ariel mostra un’innata curiosità nei confronti del mondo umano, ancora più rafforzato dai tentativi del padre, Re Tritone, di impedire qualsiasi contatto col mondo di sopra; dunque, la ragione fondante è il desiderio di vedere e toccare con mano tutte le meraviglie di questo mondo.
Prova ne sia il modo in cui, per metà del tempo dopo esser diventata umana, Ariel durante la gita nel regno corre qua e là ad ammirare questa o quella cosa insolita che ha sempre voluto vedere da vicino (teatri di marionette, la forchetta, danzare) e si getta a capofitto in azioni spericolate (guidare la carrozza e superare con un balzo un precipizio).
In questo emerge anche un atteggiamento di apertura e accettazione nei confronti del diverso che si contrappone e, forse, nasce proprio da quello del tutto opposto del genitore, causato dalla paura dei danni che potrebbero essere arrecati al suo popolo dai “selvaggi” umani.
L’amore per il principe si aggiunge solo in seguito, risultando alla fine anche decisivo nella scelta di Ariel di diventare umana; un amore che in ogni caso sento di difendere.
Un aspetto fondamentale che molti trascurano è che Ariel è ancora un’adolescente. Non è più una bambina, ma a 16 anni non è ancora un’adulta; e se c’è uno stereotipo che non invecchia mai (e a ragione, visto che è pure abbastanza veritiero), è quello dell’adolescente avventato e impulsivo.
Che siano maschi o femmine, gli adolescenti hanno un certo talento nel prendere decisioni senza pensare alle conseguenze (se è per questo, molti adulti non sono da meno), ad agire d’istinto o anche solo per ripicca, tanto più nei rapporti d’amore, che sono notoriamente tempestosi.
Ariel è talmente innamorata di Eric che è disposta a stringere un patto con una persona poco raccomandabile come Ursula per ottenere il suo scopo: gesto temerario, coraggioso se vogliamo, ma offuscato dall’ingenua convinzione di poter “vincere” giocando pulito, e anche e (forse) soprattutto dall’ostilità nei confronti di Tritone: insomma, se mio padre distruggesse la mia camera con tutto ciò che contiene, anch’io proverei un certo astio e sarei tentato di giocargli in risposta un tiro mancino. Ariel sa chi è Ursula e cosa è in grado di fare, ma sceglie comunque di correre il rischio perché, a quel punto, è disperata e priva di ulteriori opzioni. Quindi, anche se sbagliato, è un comportamento comprensibile, per quanto non condivisibile.
E’ forse la prima volta che la Disney ha sfruttato a dovere la giovane età della protagonista dandone allo stesso tempo una rappresentazione meno idealizzata e più vicina a comportamenti reali: Biancaneve aveva teoricamente 14 anni, ma questo particolare non veniva mai reso esplicito e dunque non giocava un ruolo importante nella storia, con Ariel invece sì.
Ed è qui che entra in gioco la crescita: la seconda critica che sento muovere è la mancanza di un percorso di maturazione, che però è ben presente.
Alla fine del film, Ariel ha imparato la lezione.
In tutta franchezza, però, c’è un motivo per cui la gente se ne dimentica, ed è che il film in sé non fa proprio un lavoro egregio nel mostrarlo.
Nella fretta di arrivare al gran finale, il momento in cui Ariel si rende conto del proprio errore viene liquidato in una battuta (“Papà, mi dispiace! Io non volevo…!”) e pochi secondi di screentime in cui aggredisce Ursula dopo aver visto l’esserino in cui ha trasformato Tritone. Il momento di crescita c’è, ma non è affatto sottolineato in modo soddisfacente. L’impressione che se ne ha dunque è che Ariel abbia ottenuto ciò che vuole senza sacrificare o imparare nulla in cambio; come ho appena illustrato non è così, ma si sa, spesso è l’impressione che conta.
Un ultimo punto che, magari, ha causato qualche scontento, è che, nonostante Ariel sia un personaggio più attivo, alla fin fine si riduce ad essere una donzella in pericolo mentre è il principe a sconfiggere Ursula e salvare la situazione; uno stereotipo che la Disney, salvo qualche eccezione, continua a utilizzare con una certa frequenza ancora oggi.
Onestamente, però, si tratta di un particolare minore: rendere un personaggio più attivo, più indipendente dagli altri, non significa renderlo improvvisamente un supereroe senza macchia, né difetti, e in quello scenario non riesco a pensare a un modo in cui Ariel avrebbe potuto avere la meglio su Ursula senza che apparisse forzato.
Dunque, con Ariel abbiamo una principessa diversa, più giovane e più attiva e indipendente, dove la sua condizione di adolescente con problemi familiari diventa un punto focale del suo carattere, con tutti i pregi e i difetti che ne conseguono.
CURIOSITA‘
- Come abbiamo già visto, fu una nuova generazione di animatori a dare vita al personaggio di Ariel: in particolare, questo onore toccò a due fuoriclasse come Mark Henn (in seguito animatore di Jasmine, Simba, Mulan e Tiana) e soprattutto Glen Keane, che ha al suo attivo personaggi grossi e minacciosi come Rattigan, l’orso di Red e Toby, la Bestia, così come protagonisti del calibro di Aladdin, Tarzan e Pocahontas. Fu sua l’idea di esagerare un poco le proporzioni del viso di Ariel, andando contro i soliti canoni estetici delle principesse e dandole un volto molto espressivo e occhi più grandi del normale.
- E’ famigerato l’aneddoto secondo cui, a una proiezione di prova, la sequenza della canzone “Part of your world”, ambientata nella caverna dei souvenir della sirenetta, venne presentata in versione incompleta con esiti alquanto tiepidi da parte del pubblico di bambini. Ciò convinse il direttore dello studio Jeffrey Katzenberg a tagliare la sequenza ritenendo che il pubblico la trovasse noiosa, e solo le proteste combinate di Glen Keane, dei registi John Musker e Ron Clements e del compositore Howard Ashman, lo convinsero infine a lasciare la sequenza nel film. Tempo dopo, essa venne completata e colorata e divenne una delle parti di maggiore successo di tutto il film.