The Other Side of Disney #7 – Pocahontas

Amici Lettori,

la settimana si conclude con l’appuntamento domenicale dedicato al magico mondo Disney: anche oggi P.A. Ferretti, nostro ‘disneyologo’, ci accompagna tra i paesaggi e gli scenari migliori del regno di Pocahontas.

Buona lettura.

Articolo a cura di P.A. Ferretti

Nel nostro lungo e tortuoso viaggio di analisi delle principesse Disney, arriviamo a quella che è, a tutti gli effetti, la più esotica…

Pocahontas

La particolarità di Pocahontas è che, di tutte le principesse Disney, che sia in positivo o in negativo, lei è quella di cui si sente parlare di meno.

Da una parte, la cosa è comprensibile, visto che il film di cui è protagonista viene spesso considerato il più debole (peggiore mi sembra un termine un po’ forte) del periodo noto come Rinascimento Disney, e dunque viene spinto insieme alla stessa Pocahontas nel dimenticatoio.

Il trattamento che è stato riservato al film in sé da buona parte di critica e pubblico è discutibile, ma rimane comunque un argomento da affrontare un’altra volta; per quanto riguarda il personaggio in sé, la lamentela più comune fra quei pochi che ne parlano, è che si tratta, in fondo, di una figura poco interessante e con poca sostanza.

Credo anche di capire il motivo: in parte per associazione a un film che, sebbene non sia odiato, non è neanche tanto amato o tenuto in grande considerazione.

E inoltre perché, per dirla in maniera semplice, Pocahontas non è “divertente”. O meglio, perché è più seria. Più adulta. Per certi versi, più vicina a un personaggio femminile “live-action” che a uno classicamente disneyano.

In altre parole, la mancanza di “divertimento” o leggerezza vengono automaticamente etichettate come noiose o segno di poca tridimensionalità, senza badare se ciò nasconda altre caratteristiche o sia più adatto alla storia che si tenta di raccontare.

Qui di seguito, mi permetto alcune osservazioni con cui controbattere.

Le accuse di mancanza di personalità o tridimensionalità, o le dichiarazioni che il personaggio non sia “divertente”, non sussistono neanche a un’osservazione superficiale, e per capirlo basta andare a vedere la scena in cui ci viene presentata.

Nel giro di pochi minuti, Pocahontas ci viene mostrata in una vasta gamma di atteggiamenti: dapprima meditativa, poi eccitata alla notizia del ritorno del padre, poi ancora spericolata per il modo in cui si tuffa dall’alto della cascata; e infine scherzosa nel modo in cui si mette a giocare in acqua con l’amica Nakoma.

E’ inoltre dotata di una certa fierezza, come dimostra l’aggressività con cui controbatte alle arroganti affermazioni di John Smith sul voler portare la civiltà ai “selvaggi”, e il sopra citato tuffo dalla cascata ci mostra che le piace vivere esperienze al limite per sentirsi libera, una qualità che viene anche sottolineata visivamente quando la sua ombra assume la forma di un’aquila.

E’ agile, atletica e soprattutto ha la mente aperta a cose nuove: la sua prima reazione nel vedere le “strane nuvole” che sono le vele della nave inglese, è andare a indagare per soddisfare la sua curiosità, e anziché aver paura di ciò che vede, ne rimane affascinata.

Sebbene caratteristiche di principesse precedenti vengano ancora una volta recuperati (frustrazione, desiderio di qualcosa di più, matrimonio forzato ecc.), tali caratteristiche vengono, ancora una volta, adattate al contesto.

Per molte donne dell’epoca, anche fra i nativi americani, il matrimonio era il solo e unico futuro, e il desiderio di qualcos’altro si traduce non tanto nel voler andare in un altro posto o rinunciare alla propria posizione sociale, ma semplicemente nel poter scegliere da sola cosa fare della propria vita (un desiderio esemplificato magnificamente quando, nella canoa, si trova di fronte a un bivio nel fiume e sceglie il ramo più difficile e tempestoso).

Se Jasmine, per quanto indipendente, non rifiutava l’idea del matrimonio in quanto tale e si limitava a desiderare di poter scegliersi il marito, Pocahontas arriva a concepire l’idea di non aver bisogno necessariamente di un uomo per completarsi, come si vedrà nel finale.

A rendere le cose più affascinanti è il fatto che Pocahontas, anche se non di molto, è la più “vecchia” delle principesse: non più un’adolescente, ma una che ha già oltrepassato la soglia della maggiore età, il che giustifica un comportamento meno spensierato e più ragionato, più contemplativo e riflessivo.

Naturalmente, questo cozza con quel poco che sappiamo della realtà storica, del fatto che la vera Pocahontas era circa dodicenne all’epoca del suo incontro con John Smith; ma dubito molto che una qualunque persona guardi un film Disney per ricevere una lezione accurata di storia americana, per la quale un buon libro è invece il posto più indicato.

Pocahontas è anche in sintonia con la natura, più di quanto non lo siano mai state le principesse che l’hanno preceduta. Comunica con lo spirito di un’antenata (la nonna?) con Nonna Salice, ed è la prima a portare avanti, attraverso questo suo collegamento, una morale ecologista che, al netto di quante volte è stata affrontata nel corso degli anni, continua ad essere penosamente attuale. Ciò è anche in linea, almeno in maniera superficiale, con la mentalità tipicamente naturalista dei nativi americani.

E questo ci porta al prossimo punto: a suo tempo, Jasmine era stata la prima principessa Disney a non appartenere alla razza caucasica/europea, e Pocahontas fa un altro passo avanti, diventando la prima principessa Disney ad appartenere a una minoranza etnica, oltre che su una persona realmente esistita.

Di conseguenza, questo la rende anche la prima “principessa” Disney a non essere una vera principessa: lo è solo nel nome, solo per esigenze di merchandising, ma di fatto è “solo” la figlia di un capo indiano.

Anche a voler cercare il pelo nell’uovo e a dire che tanto, differenze culturali a parte, è la stessa cosa, sta di fatto che non è così.

Primo, perché le differenze culturali non sono roba da mettere da parte come fossero un nonnulla; secondo, perché la gerarchia indiana non è neanche lontanamente paragonabile a quella medievale e rinascimentale di cui il titolo di “principessa” fa parte.

Questa fondamentale differenza si riflette nel modo in cui Pocahontas finisce per accollarsi un certo numero di responsabilità nei confronti della sua gente, in netto contrasto con i suoi illustri predecessori.

E’ interessante notare come con le principesse precedenti, anche quelle meglio caratterizzate, non si sia mai posto l’accento sulle responsabilità che il ruolo reca con sé in quanto persona di potere.

Da una parte, è vero che in una società simil-medievale, orientale, rinascimentale o settecentesca il ruolo di una principessa è in ogni caso subordinata a quella del principe e del sovrano, ciononostante faccende politiche o questioni riguardanti “il popolo” venivano, nei film precedenti, spesso e volentieri messe sullo sfondo, quando non del tutto ignorate. E in ogni caso, per le principesse in questione i problemi da affrontare avevano poco o nulla a che fare con il loro status “politico”, e molto più con quello personale.

Qui invece, le azioni di Pocahontas vanno oltre il mero desiderio personale e rappresentano un disperato tentativo di salvare non solo il proprio amore, ma anche la propria gente da un destino che lei sente proprio dovere impedire, anche a costo di trasgredire le disposizioni di suo padre. Quindi, è anche determinata e fedele a ciò che ritiene giusto non solo per sé stessa, ma anche per gli altri a cui tiene.

Ciò si riflette indubbiamente nelle dinamiche della storia d’amore con John Smith: non solo il modo, già accennato, in cui giustamente si infervora di fronte all’arroganza colonialista di Smith, ma anche per il fatto che, a dispetto dell’amore per un bianco e della sua non proprio alta considerazione per il promesso sposo Kokum (“Ma è così… serio!”), è sconvolta e disperata quando quest’ultimo viene ucciso da Thomas, in una scena dalla crudezza ancora oggi scioccante.

Anche se innamorata di qualcuno appartenente a una diversa “razza”, mai, neanche per un istante ha tradito la sua gente, o è venuta meno alla lealtà nei suoi confronti.

E questo ci conduce al finale, dove Pocahontas mostra anche una grande, invidiabile maturità: con John Smith ferito e bisognoso di cure, lei potrebbe benissimo scegliere di venire con lui in Inghilterra e lasciarsi la propria tribù alle spalle.

Potrebbe. Vorrebbe.

Ma non lo fa: in cuor suo, sa che la sua gente ha ancora bisogno di lei (specie alla luce dell’accresciuta stima verso di lei, ora che ha impedito una guerra), e voltare loro le spalle significherebbe scappare dalle proprie responsabilità per puro egoismo.

Lei decide di rimanere, e questo, oltre a portare a una delle scene finali più maestose e poetiche mai partorite dalla Disney, rende il film l’unico classico Disney privo di un lieto fine.

Insomma, tanta roba per una principessa Disney fra le più sottovalutate e dimenticate di sempre.

CURIOSITA’

  • E’ ancora una volta il fuoriclasse Glen Keane (Ariel, la Bestia, Aladdin, Tarzan) ad occuparsi dell’animazione di Pocahontas, e insieme a lui un team di oltre venti artisti, fra i quali il collega Mark Henn, con cui aveva già collaborato alla creazione dell’eroina in “La Sirenetta”. Il look molto angolare e spigoloso fu il frutto non solo di rendere più interessante e carico d’appeal le immagini già esistenti della protagonista nei documenti storici, ma anche l’esigenza di adattarsi allo stile impostato dal direttore artistico Michael Giaimo, dall’impronta più marcatamente realistica.
  • La scena fra Pocahontas e un John Smith prigioniero doveva originariamente includere la canzone “If I Never Knew You” (“Se tu non ci fossi”), ma questa venne tagliata per ragioni di ritmo; però, la sua melodia venne mantenuta nella colonna sonora e la canzone stessa appare nei titoli di coda.

Nelle puntate precedenti…

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